Famiglie in prima linea contro le malattie genetiche rare, al fianco della ricerca

Per i pazienti con malattie genetiche rare e le loro famiglie spesso la ricerca rappresenta l’unica speranza. Ma le stesse famiglie possono contribuire in modo importante al lavoro dei ricercatori.

Alex e Dylan

“Grazie ai genitori dei nostri pazienti e in particolare ad Anna e Charlotte”.

Si aprono così i ringraziamenti di uno studio scientifico con il quale nel luglio scorso un team internazionale di ricercatori coordinati da Nicola Brunetti-Pierri e Gerarda Cappuccio, dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli e dell'Università di Napoli, ha annunciato la descrizione di una nuova variante della sindrome di Nicolaides-Baraitser. Parole significative, dedicate al contributo attivo di questi genitori allo studio: parole che per Anna e Charlotte chiudono un cammino durato anni per ottenere la diagnosi della condizione dei loro bambini, ma che allo stesso tempo aprono – per le loro e altre famiglie – alla speranza di arrivare un giorno a risposte concrete alle loro esigenze. Conoscere il nome della malattia oscura che colpisce i propri cari è infatti il primo, indispensabile, passo per cominciare a studiarla e sperare di arrivare, un giorno, a una cura.

Interazioni virtuose

Se da una parte cercare di mettere a punto nuovi approcci e terapie per curare le malattie genetiche rare o migliorare la qualità di vita dei pazienti è il lavoro quotidiano dei ricercatori sostenuti da Fondazione Telethon, dall’altra non bisogna dimenticare quanto è fondamentale proprio per questo lavoro il contributo delle famiglie, che ai ricercatori non solo si affidano ma si affiancano, perché più sono le forze in campo contro queste malattie, prima si può sperare di arrivare a risultati.

“L'interazione con i pazienti e le famiglie non solo ci permette di spiegare bene natura e obiettivi del nostro lavoro, ma ci aiuta anche a focalizzare meglio i nostri sforzi sulle speranze e le aspettative di chi abbiamo di fronte” ha raccontato il ricercatore del Tigem Luis Galietta durante uno degli appuntamenti tv della maratona Telethon 2020.

La storia di Giorgio (e di una vasta rete di contatti)

Per Anna e Giuseppe, genitori di Giorgio, nato a Caserta nel 2011 la prima aspettativa è stata capire che cosa comprometteva lo sviluppo del loro bambino.

Giorgio, un bambino con sindrome di Arnold Chiari e BIS, mentre è a scuola
Giorgio

Già nei suoi primi mesi di vita, mamma e papà si erano accorti che c’era qualcosa che non andava, ma a medici non era chiaro di cosa si trattasse. Ci sono voluti sette anni per scoprirlo, grazie all’incontro con il pediatra Nicola Brunetti-Pierri e all’inserimento di Giorgio nel Programma per le malattie senza diagnosi del Tigem, che come dice il nome punta a identificare la causa genetica di malattie dall’origine ancora sconosciuta. Grazie alle innovative tecniche di analisi del Dna del Programma, i ricercatori hanno scoperto che Giorgio aveva una mutazione nella sequenza di un gene, SMARCA2, già noto per essere associato alla sindrome di Nicolaides-Baraitser, una rara sindrome genetica caratterizzata da bassa statura, anomalia delle dita, epilessia e ritardo cognitivo grave.

Brunetti-Pierri e colleghi, però, hanno ancora qualche dubbio. Giorgio non ha mai avuto crisi epilettiche, cresce in modo superiore all’atteso, presenta particolari caratteristiche del volto (occhi a mandorla, naso piccolo) che sono assenti negli altri bambini colpiti. In più, la sua mutazione riguarda un'altra regione del gene rispetto a quella associata alla sindrome “classica”. Da qui i contatti con altri colleghi in tutto il mondo, esperti in questa rarissima condizione, nella speranza di trovare altri casi particolari. Ma non è solo l'équipe medica a muoversi: lo fanno anche Anna e Giuseppe, prendendo contatto con altre famiglie che condividono lo stesso problema e trovando altri bambini con caratteristiche simili a quelle di Giorgio, che portano all’attenzione dei ricercatori. È grazie a questo intenso lavoro che è stato possibile, alla fine, descrivere la nuova sindrome, chiamata BIS. “Ora sappiamo che ci sono anche altre famiglie con una storia simile alla nostra da raccontare” ha commentato Charlotte, mamma dei gemelli Alex e Dylan affetti proprio da questa malattia, che per tutta la durata dello studio è rimasta attivamente in contatto con i ricercatori.

“Spero che un giorno potremo anche incontrarci fisicamente e condividere le nostre esperienze con i nostri meravigliosi bambini”.

Mamma di Alex e Dylan, Charlotte

Dalla solitudine alla condivisione

Incontrarsi, raccontarsi, condividere: spesso è un impulso forte nelle famiglie di bambini con malattie genetiche rare, che segue un primo momento di smarrimento e disperazione, in genere vissuto in grande solitudine.

“Per noi è stato il buio, il silenzio, il dolore” racconta Sara, mamma di Olivia, ricordando il giorno in cui la famiglia ha saputo che la bimba era affetta da paraparesi spastica ascendente a esordio infantile, rarissima malattia genetica degenerativa. Ma è stato anche “un nuovo inizio”, la decisione di creare un’associazione – Help Olly – che permettendo a Sara e Simone di conoscere altre famiglie nella stessa, dolorosa situazione, ha dato loro la forza per andare avanti, senza sentirsi soli nel combattere l’ignoto.

Un percorso analogo a quello di Bruno, nonno di Martina, a cui – di nuovo grazie al Programma malattie senza diagnosi – è stata diagnosticata la sindrome Ddx3x. Dopo anni vissuti senza risposte, il primo passo di nonno Bruno dopo la diagnosi è stato costruire un sito che potesse convogliare l'attenzione e l'interesse di tutti coloro che volessero sapere di più di questa malattia. E, soprattutto, “che costituisse un riferimento per raccogliere contributi affinché Fondazione Telethon possa aprire un bando per avviare un progetto di ricerca sulla malattia”.

Un seme di speranza

L'iniziativa di cui parla nonno Bruno si chiama Seed grant ed è partita nella primavera 2020 con l’obiettivo di mettere a disposizione delle piccole associazioni le trentennali competenze della Fondazione nella selezione e nel monitoraggio dei progetti di ricerca. Già, perché quando nasce un’associazione di pazienti o di famiglie di pazienti con malattie genetiche rare l’obiettivo non è solo confrontarsi e raccontarsi, ma anche far conoscere all’esterno queste malattie, rendendo la società consapevole dei bisogni (e dei diritti) di chi ne è affetto, e raccogliere fondi per sostenere la ricerca scientifica, l’unico strumento che può dare un futuro migliore ai pazienti. Come ha raccontato sempre durante la maratona Telethon 2020 Alessandra Camerini, responsabile dei rapporti con le associazioni della Fondazione “per essere certi di sostenere una ricerca che sia davvero d’eccellenza, però, è necessario avere competenze che minimizzino sia eventuali conflitti di interesse sia il rischio di dispersione dei fondi in progetti non meritevoli. Competenze di cui piccole associazioni di volontari non necessariamente dispongono. Attraverso i Seed grant (a proposito: seed significa seme, perché l’iniziativa intende lanciare semi di speranza), le associazioni mettono il denaro raccolto e Fondazione Telethon l'infrastruttura adeguata per chiedere ai ricercatori italiani di presentare progetti validi su malattie per le quali prima non esisteva ricerca”.

Famiglie e ricercatori insieme, verso il futuro

“I fondi, che raccogliamo a fatica, sono preziosi e devono essere spesi bene, nel rispetto degli ammalati che non devono essere illusi e dei donatori che condividono i nostri obiettivi” ribadisce Maria Litani, presidentessa dell'Associazione italiana per la lotta alle sindromi atassiche, una delle associazioni di pazienti che hanno aderito al bando. Maria è la mamma di Stefano, affetto da atassia di Friederich e mancato nel 2014 per una condizione indipendente.

“Nei suoi 37 anni di vita, Stefano ha atteso una cura; si fidava dei medici, chiedeva loro di ridargli il cammino, partecipava ai congressi organizzati dalla nostra associazione perché voleva sapere a che punto fosse la ricerca. Mi spronava a fare, a organizzare eventi, a raccogliere fondi: da lui ho imparato ad amare, ma anche a combattere”. Anche a fianco dei ricercatori, tra i quali Stefano Diciotti dell’Università di Bologna e Dario Brunetti, dell’Istituto neurologico Besta e dell’Università di Milano, vincitori dei fondi messi a disposizione dall’AISA con il Seed Grant.

Anche Sara e Simone, i genitori di Olivia, hanno deciso di aderire all’iniziativa, scegliendo di finanziare, tra i progetti sulla paraparesi spastica ascendente a esordio infantile selezionati da Fondazione Telethon quello di Marco Deriu, bioingegnere del Politecnico di Torino, che punta a sviluppare un modello computazione della proteina coinvolta nella malattia della bimba, utile per la ricerca di potenziali strategie terapeutiche. Tra le associazioni che hanno aderito al bando ci sono anche Una vita rara, fondata da Giorgio e Rosita Boniotti dopo aver scoperto che il loro figlio, Davide, è affetto dalla rarissima sindrome di Allan Herndon Dudley (vincitore il progetto di Ilaria Decimo, dell’Università di Verona) e l'associazione italiana glicogenosi, che ha dedicato il bando alla memoria di Manuel Carroni (vincitore il progetto di Francesco Trepiccione, dell’Università Vanvitelli della Campania). Manuel, mancato nel 2019 a 37 anni, era entrato nel direttivo dell’associazione per dare un contributo materiale a chi, come lui, è affetto da una malattia rara, e ha sempre creduto in un messaggio chiaro: la ricerca deve andare avanti. Con il contributo di tutti.

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