In occasione della Giornata Mondiale abbiamo fatto un’intervista all’epilettologa Aglaia Vignoli, direttrice della Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza presso l’ASST GOM Niguarda e professoressa all’Università degli Studi di Milano.

Oggi, 12 febbraio, si celebra la Giornata mondiale dell’epilessia: «Un evento necessario - commenta Rosa Cervellione, presidentessa della Federazione Italiana Epilessie - perché questa è una malattia ancora poco considerata dalle istituzioni e largamente sconosciuta alla popolazione generale. La conseguenza è che le persone con epilessia sono ancora esposte a discriminazioni importanti nel mondo della scuola, del lavoro, dello sport. Per superare questa situazione è fondamentale l’interessamento delle istituzioni, perché attivino campagne di informazione sociale e diano una spinta alla ricerca, anche promuovendo la donazione per la ricerca». Inoltre, Cervellione invita a cogliere l’occasione di questa celebrazione internazionale per diffondere conoscenza sull’epilessia e sul fatto che «il suo sintomo principale - la crisi epilettica, che ha creato uno stigma tanto radicato - è soltanto la manifestazione di un evento neurologico». Un invito che raccogliamo volentieri, chiedendo all’epilettologa Aglaia Vignoli, direttrice della Neuropsichiatria dell’infanzia e adolescenza presso l’ASST GOM Niguarda e professoressa all’Università degli Studi di Milano, di aiutarci a capire meglio di che cosa si tratta.

Che cos’è l’epilessia

«È una malattia neurologica cronica che interessa quasi l’uno per cento della popolazione generale e che nella maggior parte dei casi comincia a manifestarsi durante l’infanzia o l’adolescenza, persistendo poi nell’arco della vita», spiega Vignoli.  «È caratterizzata dal ripetersi di episodi critici – le crisi epilettiche, appunto – che altro non sono se non momenti di alterazione dell’attività neuronale».

In pratica, succede che nel cervello un gruppo più o meno esteso di neuroni vada incontro a un’alterazione della loro funzionalità elettrica: «Questo si traduce in una crisi che può durare da pochi secondi a pochi minuti e ha manifestazioni differenti a seconda di quali e quanti siano i neuroni interessati».

La manifestazione a cui tutti pensano quando si parla di epilessia è la crisi convulsiva: la persona colpita cade, diventa rigida, gli arti si scuotono, può esserci perdita di coscienza. «Si verifica - spiega la neuropsichiatra - quando l’alterazione neurologica interessa un numero elevato di neuroni in entrambi gli emisferi cerebrali».

Nei bambini, questo tipo di alterazione può avere anche un’altra manifestazione di crisi, a tipo assenza, in cui c’è una brusca sospensione della coscienza: il bimbo smette improvvisamente di fare quello che stava facendo, mantiene uno sguardo fisso per qualche secondo, poi riprende la sua attività senza accorgersi di quanto accaduto. Se invece l’alterazione neurologica coinvolge gruppi limitati di neuroni le manifestazioni possono essere esclusivamente motorie o sensoriali, per esempio visive o uditive.

Qual è l’impatto dell’epilessia

«Ancora oggi l’epilessia è una condizione che fa paura» dichiara Vignoli, che è anche coordinatrice della Sezione lombarda della Lega Italiana Contro l’Epilessia. «È una paura nata nei secoli passati, a causa delle manifestazioni così improvvise ed evidenti della malattia, che alcuni interpretavano come legate a qualcosa di sacro e altri, al contrario, a qualcosa di diabolico».

Oggi, però, sappiamo dovremmo sapere – che non c’è assolutamente nulla di soprannaturale nell’epilessia: è un fenomeno puramente neurologico. E anche se assistere a una crisi epilettica, soprattutto se convulsiva, può spaventare, bisogna sapere che «in sé non c’è niente di preoccupante, che la crisi ha un inizio e una fine e che le regole di comportamento sono poche e semplici» Per altro, in molti casi oggi l’epilessia può essere tenuta sotto controllo con terapie che impediscono la comparsa di crisi. «Anche in questo caso, però rimane uno stigma sociale, che è quello che dovremmo abbattere e a causa del quale le persone con epilessia subiscono limitazioni in ambito scolastico o lavorativo» afferma Vignoli, sottolineando che soprattutto per i bambini altre limitazioni vengono, forse un po’ inevitabilmente, dall’ambiente familiare. «Anche se l’epilessia è controllata, la sola ipotesi che un bambino possa avere una crisi crea molta preoccupazione nei genitori, che tendono a iperproteggerlo evitando alcune situazioni che invece sarebbero del tutto accessibili, come partecipare alle gite scolastiche o a un pigiama party con gli amici».

Diverso, invece, il discorso per le forme di epilessia non controllate: in questo caso possono esserci alcune limitazioni particolari, per esempio rispetto al rilascio della patente o alla pratica di alcuni sport che possono rivelarsi pericolosi per il paziente stesso come l’arrampicata o l’immersione subacquea. Inoltre, bambini che hanno crisi frequenti e scarsamente controllate potrebbero avere ricadute anche su aspetti cognitivi».

Le cause dell’epilessia

«Esistono varie cause di epilessia», spiega la professoressa Vignoli. «Alcune sono di origine genetica: in questo caso, l’alterazione genetica può provocare solamente l’epilessia oppure un quadro sindromico più complesso, di cui l’epilessia è uno dei sintomi principali». Succede per esempio nella sindrome da deficit di Glut1, nella sindrome di Rett, nelle encefalopatie epilettiche come la sindrome di Dravet. In questi casi, l’epilessia è spesso resistente ai farmaci e può essere associata a regressione dello sviluppo, disabilità intellettiva, difficoltà sensoriali e nella comunicazione, disturbi motori.

«Altre forme - più frequenti - di epilessia sono invece conseguenza di malformazioni del cervello, traumi cranici, altre malattie come infezioni, ictus o tumori (soprattutto negli adulti i negli anziani). Infine, negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere forme di epilessia legate a fenomeni di autoimmunità».

Epilessia: le cure disponibili

Oggi esistono vari trattamenti che, in molti casi, permettono di tenere sotto controllo i sintomi. «Il primo approccio è in genere di tipo farmacologico» spiega Vignoli. Sono disponibili numerosi farmaci per il trattamento sintomatico delle convulsioni e negli ultimi 10-15 anni sono arrivate nuove molecole che hanno migliorato notevolmente gli effetti collaterali. Purtroppo, però, circa il 30% dei pazienti ha crisi resistenti ai farmaci.

«In questi casi, se l’origine neurologica delle crisi è di tipo focale, cioè limitata a un gruppo ben preciso di neuroni, l’intervento chirurgico può essere un’ottima opzione terapeutica, anche perché ha percentuali di efficacia molto alte».

In altri casi, più difficili, si può invece prendere una considerazione una chirurgia palliativa, che prevede l’impianto di uno stimolatore vagale: «Pensiamo a una sorta di pacemaker che viene impiantato a livello toracico o ascellare e che, attraverso l’azione sul nervo vago, inibisce la propagazione delle crisi». Un’altra possibilità terapeutica per le forme farmaco-resistenti è la dieta chetogenica, ad alto contenuto di grassi e basso tenore di carboidrati, da seguire sotto stretto controllo medico. «Per alcune condizioni metaboliche come la sindrome da deficit di Glut1 è una vera e propria dieta di precisione, ma funziona anche in altre forme di epilessia, soprattutto in età pediatrica».

Negli ultimi anni, inoltre, gli avanzamenti della ricerca stanno permettendo di capire sempre meglio i meccanismi genetici e metabolici alla base di alcune forme di epilessia, un passo fondamentale per modulare le terapie o proporne di specifiche. È per esempio il caso dell’epilessia associata alla sclerosi tuberosa e dipendente da alterazioni in un particolare percorso molecolare: «Ebbene, esisteva già un farmaco che agisce proprio su quel percorso e che si è rivelato molto utile nel ridurre la frequenza delle crisi in pazienti resistenti ad altri farmaci».

Ed è ancora più recente l’acquisizione di conoscenze sul ruolo, per alcune forme di epilessia, del sistema immunitario o dell’asse microbiota-intestino-cervello: nuove frontiere dalle quali ci si aspettano avanzamenti anche in terapeutico, a conferma di quanto ci sia ancora da fare sull’epilessia. Anche in questo caso, non manca il coinvolgimento dei ricercatori Telethon, a partire dalla stessa Vignoli.  

Epilessie e ricerca Telethon

Molte delle malattie genetiche rare delle quali si occupa la ricerca Telethon hanno, tra i loro sintomi, proprio l’epilessia, spesso in forma farmaco-resistente. Per questo, sono numerosi i progetti di ricerca dedicati a comprendere meglio le basi genetiche e molecolari di queste forme di epilessia o a studiare nuove possibilità terapeutiche: nel complesso, Fondazione Telethon ha investito oltre 14,6 milioni di euro nella ricerca dedicata all’epilessia, finanziando 73 progetti di ricerca e 79 ricercatori. Ecco alcuni esempi.

Sindrome di Dravet

La sindrome di Dravet è una grave encefalopatia epilettica di origine genetica, causata principalmente da mutazioni del gene codificante per una proteina chiamata Nav1.1 che contribuisce a regolare l’attività elettrica di un tipo particolare di neuroni. Il conseguente squilibrio nell'attività neuronale si traduce in convulsioni molto gravi, resistenti ai farmaci. Da diversi anni il gruppo di ricerca guidato da Gaia Colasante dell’Ospedale San Raffaele di Milano lavora allo sviluppo di un trattamento di terapia genica che mira a ripristinare livelli normali della proteina Nav1.1. Il suo ultimo progetto, appena finanziato, ha l’obiettivo di aumentare l’efficienza con la quale la sequenza di DNA del gene viene “trascritta” nella molecola di RNA messaggero che a sua volta dovrà portare l’informazione all’apparato cellulare deputato alla costruzione della proteina Nav1.1.

Deficit di CDKL5

Anche in questo caso la malattia oggetto della ricerca è una grave encefalopatia epilettica. Poiché i pazienti con la sindrome hanno spesso anche problemi gastrointestinali e sono sempre più numerosi i risultati della ricerca che suggeriscono una correlazione tra alterazioni del microbiota intestinale e frequenza e gravità delle crisi epilettiche, il gruppo di ricerca di Aglaia Vignoli ha deciso di avviare un primo test clinico relativo proprio a questa correlazione.

In breve, si tratta di valutare l’effetto sulle condizioni neurologiche di pazienti con disordine da deficit di CDKL5 di integratori in grado di modulare lo stato del microbiota intestinale, riducendo uno stato di infiammazione cronica che può essere associato a una sua alterazione. Il progetto è finanziato dall’associazione “CDKL5-Insieme verso la cura, nell’ambito dell’iniziativa Seed Grant di Fondazione Telethon. 

Nuovi bersagli molecolari contro l’epilessia

Il primo passo per arrivare a una sperimentazione clinica è sempre la ricerca di base. Per trovare nuove terapie, bisogna capire bene quali sono i meccanismi alla base di una malattia e per farlo talvolta è necessario indirizzare la propria ricerca anche dove nessuno - o pochi - lo ha mai fatto. Non è facile per un ricercatore fare una scelta del genere, perché se da un lato è vero che il suo compito è proprio “illuminare l’ignoto”, dall’altro è vero che se il buio è profondo è davvero molto difficile muoversi. Stimolare questo tipo di ricerca, però, è proprio l’obiettivo del bando congiunto Fondazione Telethon - Fondazione Cariplo, che premia proprio i progetti di ricerca dedicati ai cosiddetti geni T-dark, chiamati così perché se ne sa davvero molto poco.

Tra questi geni ce n’è uno, chiamato HPCAL4, che rappresenta l’oggetto della ricerca di Lorenzo Cingolani, dell’Università di Trieste. Le poche informazioni disponibili su questo gene ci dicono che interagisce con un altro gene (CACNA1A) fondamentale per la comunicazione tra cellule nervose e coinvolto, quando mutato, in varie malattie del sistema nervoso, tra le quali alcune encefalopatie epilettiche. CACNA1A, però, è un gene molto grande e con una struttura complessa, sul quale è molto difficile intervenire: da qui l’idea di provare ad agire su HPCAL4, più piccolo, semplice e adatto allo sviluppo di interventi terapeutici. Obiettivo del progetto, quindi, è valutare se questo gene possa essere un buon bersaglio molecolare per sviluppare nuove strategie terapeutiche anche per forme di encefalopatia epilettica.

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