Alla scoperta del nostro sistema di difesa, dei suoi principali protagonisti e delle malattie in cui non funziona o funziona male.


Immagine al microscopio elettronico di linfociti T regolatori (rosso). Credit: National Institute of Allergy and Infectious Diseases/NIH

Da quando nasciamo e per tutta la durata della nostra vita il sistema immunitario ha il compito di difendere l’organismo da chi può danneggiarlo: virus, batteri e loro tossine, funghi, parassiti. È anche di grado di accorgersi quando le nostre cellule crescono in modo incontrollato, dando luogo a un tumore. È un sistema “intelligente”, che impara dall’ambiente e che talvolta, a causa di un difetto genetico, può non funzionare già dall’infanzia: è il caso delle immunodeficienze primitive, su cui la ricerca Telethon negli ultimi anni ha offerto soluzioni efficaci e innovative come la terapia genica. Viceversa, ci sono casi in cui il sistema immunitario funziona troppo o male e porta così a sviluppare altri tipi di problemi, come le malattie autoimmuni o le allergie.

Spesso per raccontarlo si usano metafore belliche: in effetti il sistema immunitario ci difende da nemici, interni ed esterni, mettendo in campo sorveglianza e armi sofisticate. A noi però piace di più paragonarlo a un’orchestra, fatta di tanti strumenti che suonano insieme in modo armonico: basta che un elemento venga meno, però, perché ci sia una stonatura più o meno grave. Cerchiamo allora di conoscerlo meglio.

Come funziona il sistema immunitario

Il sistema immunitario ha innanzitutto il compito di individuare e neutralizzare gli agenti estranei o pericolosi. Nello stesso tempo, però, deve assicurarsi di non attaccare le strutture proprie dell’organismo o quei microrganismi che vivono in simbiosi con noi nel nostro intestino svolgendo funzioni importanti, il cosiddetto microbiota. Deve inoltre conservare un ricordo dei patogeni, così da attaccarli in modo più rapido ed efficace nel caso di un secondo incontro, anche a distanza di tempo.

È un sistema sofisticato e complesso, fatto di tipi cellulari diversi generati da cellule “madri” localizzate nel midollo osseo, le staminali ematopoietiche. Una volta specializzate, a seconda del proprio ruolo queste cellule si spostano in varie sedi come sangue, mucose o linfonodi, ma rimangono costantemente in dialogo fra di loro, grazie al contatto fisico a “parole” di natura chimica (citochine).

Esistono due tipi fondamentali di risposta immunitaria, la prima più immediata e “grezza”, la seconda più tardiva e mirata: scopriamole insieme.

La prima linea di difesa: la risposta innata

La risposta innata è quella evolutivamente più antica, condivisa anche da organismi semplici come gli invertebrati. Si attiva rapidamente ed è poco specifica: a metterla in atto sono cellule dalla vita breve e capaci di fagocitare corpi estranei anche di notevoli dimensioni, come i granulociti (la cui carenza può dar luogo a una rara forma di immunodeficienza chiamata granulomatosi cronica) e i macrofagi. Questi ultimi, insieme ad altre cellule chiamate dendritiche, contribuiscono anche a generare la memoria immunitaria, grazie alla loro capacità di presentare frammenti dei microrganismi fagocitati ai loro “colleghi” della risposta specifica. I macrofagi sono anche fondamentali per innescare l’infiammazione, il primo richiamo all’azione nella sede del danno: la febbre, per esempio, è un altro meccanismo di difesa innescato proprio dai macrofagi per eliminare quei microrganismi che non possono sopravvivere a una temperatura più alta.

Ad aiutare le cellule della risposta innata a “sbarrare” l’ingresso agli agenti patogeni sono anche la pelle e le mucose, che fanno da barriere fisiche, le ciglia presenti su diversi epiteli di rivestimento (e che quando non si muovono provocano gravi malattie genetiche), gli enzimi presenti nei succhi gastrici o nella saliva.

Accanto alle cellule, la risposta innata si avvale anche del sistema del complemento, una serie di molecole in grado sia di difendere l’organismo nell’immediato, sia di attivare la risposta più specifica. Questo sistema permette di difenderci dai batteri piogeni (che producono cioè pus), di eliminare i complessi anticorpali dal sangue che potrebbero danneggiare i tessuti e di amplificare la risposta indotta dagli anticorpi. Esempi di malattie genetiche in cui questo sistema non funziona sono l’angioedema ereditario e le forme ereditarie di sindrome emolitico-uremica (Seu).

La seconda linea di difesa: l’immunità specifica, o adattiva

Quando l’attività di questi “spazzini” non basta si attivano cellule più specializzate, in grado di riconoscere in modo specifico gli agenti patogeni e di generarne un ricordo in vista di incontri futuri. È grazie alla memoria immunitaria che non ci ammaliamo una seconda volta di alcune malattie infettive come il morbillo o la varicella, dopo la prima infezione oppure dopo la vaccinazione. Il principio generale su cui si basano i vaccini, infatti, è quello di presentare l’agente patogeno (virus, batterio, tossina, ecc) al sistema immunitario in anticipo, in una versione non pericolosa per l’organismo: la memoria così creata, nel caso di un reale incontro con l’agente patogeno, attiva una risposta efficace che lo neutralizza. Non sempre però, i vaccini sono in grado di conferire un’immunità duratura, specialmente nel caso di quei virus che tendono a mutare in quelle porzioni che vengono “viste” dal sistema immunitario (vedi virus influenzali o SARS-CoV2).

Le cellule responsabili di questa risposta specifica, o adattiva, sono i linfociti, che in superficie hanno un “sensore” per riconoscere una specifica molecola. Nelle prime fasi dello sviluppo vengono generati tantissimi linfociti in grado di riconoscere potenzialmente qualsiasi cosa. È un processo casuale, quindi nella seconda fase della maturazione di queste cellule vengono eliminate tutte quelle dirette contro le strutture proprie dell’organismo.

Errori in questo sistema di controllo sono alla base di malattie autoimmunitarie quali il diabete di tipo 1, la celiachia, il lupus o la sclerosi multipla, ma anche delle allergie, che altro non sono se non risposte immunitarie anomale ed eccessive dirette contro sostanze di per sé non tossiche come alimenti, pollini o farmaci. Viceversa, ci sono forme di immunodeficienze primitive in cui, a causa di un difetto genetico, queste cellule non si sviluppano correttamente: è il caso per esempio dell’ADA-SCID o della sindrome di Wiskott-Aldrich, per le quali la ricerca Telethon ha però messo a punto una terapia genica efficace.

Conosciamo meglio i linfociti

Esistono due tipi principali di linfociti, quelli di tipo T e quelli di tipo B.

  • I linfociti T, così chiamati perché completano la loro maturazione nel timo, sono in grado di riconoscere le cellule tumorali o infettate da virus e ucciderle. Oltre a questi linfociti T, detti CD8 o citotossici, ce ne sono altri che funzionano come cellule della memoria, per attivare una risposta nel caso di un secondo incontro con l’agente patogeno: sono i CD4, noti per essere il bersaglio dell’HIV, il virus responsabile dell’AIDS. Altre cellule, meno specifiche dei linfociti CD8, in grado di riconoscere e uccidere le cellule infettate da virus o da batteri intracellulari, come per esempio quello della tubercolosi, sono le cosiddette Natural Killer (NK).
  • I linfociti B, che maturano nel midollo osseo (“bone marrow” in inglese) sono invece deputati alla produzione degli anticorpi, proteine esposte sulla loro superficie. Quando riconoscono in modo specifico una sostanza estranea, per esempio una proteina virale o batterica, iniziano a replicarsi e a fabbricare grandi quantità di anticorpi specifici che vengono rilasciati nel sangue e nelle secrezioni come saliva, lacrime, sudore. Legandosi ai virus e ai batteri, gli anticorpi ne favoriscono la neutralizzazione o la distruzione da parte dei fagociti, come i già citati macrofagi. Anche in questo caso, alcuni linfociti B rimangono come cellule della memoria, in vista di possibili incontri futuri.

Normalmente solo una piccola frazione dei linfociti circola nel sangue: la maggior parte sta nei linfonodi e nelle mucose. Un eccesso di linfociti nel sangue può essere indice di una proliferazione anomala come un tumore (leucemia, linfoma), mentre un ingrossamento dei linfonodi può indicare una loro “mobilitazione” per contrastare un’infezione in atto. I linfonodi sono distribuiti in punti strategici del circolo linfatico, così da poter intercettare velocemente i pericoli.

Esistono infine dei linfociti T “regolatori”, che hanno l’importante compito di spegnere la risposta immunitaria quando non ce n’è più bisogno. Un loro malfunzionamento può portare a malattie autoimmuni o, viceversa, a immunodeficienze (anche genetiche, come per esempio la sindrome IPEX).

Il sistema immunitario, insomma, è un’orchestra in continuo ascolto, un sistema dinamico e sensibile, alleato prezioso della nostra vita.

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