Ricordiamo l’impegno di Fondazione Telethon nella lotta contro la malattia, con il progetto di ricerca di Gaia Colasante dell’Ospedale San Raffaele di Milano.

Gaia Colasante

La sindrome di Dravet è una malattia genetica rara caratterizzata da una grave forma di epilessia resistente ai farmaci associata a numerosi altri disturbi: cognitivi, del linguaggio, del comportamento, del sonno, della deambulazione. Fondazione Telethon finanzia il progetto di ricerca di Gaia Colasante della Divisione di Neuroscienze dell’Ospedale San Raffaele di Milano dal 2019.

Nella grande maggioranza dei casi, la sindrome di Dravet è causata da mutazioni di un gene chiamato SCN1A, che codifica per un canale del sodio: si tratta di una proteina che inserita nella membrana cellulare, consentendo appunto il passaggio dello ione sodio, fondamentale per il corretto funzionamento dei neuroni. «Se questa proteina non c’è o funziona male anche i neuroni non funzionano correttamente e questo vale in particolare per una popolazione di neuroni che agisce da freno rispetto ad altri» spiega la ricercatrice.

Ciascuno di noi possiede due copie del gene SCN1A, ma perché la malattia si manifesti basta che ne sia alterata una sola. «Come altri nel mondo, anche il mio gruppo di ricerca sta cercando di sviluppare strategie terapeutiche basate sul potenziamento dell’espressione della copia sana del gene, in modo che arrivi a produrre tutto il canale per il sodio che serve» afferma Colasante. «Non siamo però ancora certi che questo ripristino dei livelli del canale sia sufficiente per annullare i sintomi della malattia: proprio quello che stiamo cercando di capire con il progetto di Fondazione Telethon».

Punto di partenza è stata la generazione di un modello animale della sindrome nel quale è possibile riattivare il gene in maniera perfetta: «Esattamente in tutte le cellule nelle quali è attivo di solito e a livelli fisiologici. I risultati preliminari che abbiamo ottenuto con questa riattivazione così specifica sono molto promettenti e presto verranno resi disponibili grazie alla pubblicazione su una importante rivista scientifica».

È un’ottima notizia per la comunità scientifica, ma la strada verso l’applicazione clinica delle strategie attualmente in fase di studio per potenziare l’espressione di SCN1A è ancora lunga. «Le cose per fortuna si muovono: negli Stati Uniti è già partito uno studio clinico in fase uno e un altro sta per partire, ma nessuna strategia può permettere un ripristino perfetto come quello che abbiamo realizzato nel modello animale. Per questo con il mio gruppo stiamo anche cercando di capire qual è il numero minimo di neuroni che occorre “correggere” per avere un effettivo miglioramento dei sintomi e la finestra temporale più utile per somministrare la terapia. Tutte informazioni che, una volta disponibili, permetteranno di accelerare il passaggio ai pazienti delle terapie».

Come accennato, però, anche Colasante e collaboratori stanno lavorando su un possibile approccio terapeutico, basato su una variante del sistema di editing genetico CRISPR. «Anche grazie al premio Nobel assegnato nel 2020 alle sue sviluppatrici, conosciamo questo sistema come forbice molecolare in grado di tagliare in modo preciso il dna, ma in questo caso non è quello che fa. Piuttosto, utilizziamo CRISPR per promuovere il reclutamento sulla copia sana del gene di tutto l’apparato cellulare che serve alla sua espressione. Abbiamo già ottenuto risultati incoraggianti sempre in un modello animale di malattia, utilizzando la combinazione di due vettori virali adenoassociati per veicolare CRISPR nelle cellule. Ora stiamo lavorando all’utilizzo di un solo vettore, che dovrebbe consentire un notevole miglioramento dell’approccio».

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