Giornata internazionale dell’epilessia: Il contributo della genetica

Ne parliamo con Federico Zara dell’U.O.C. Genetica Medica dell’Istituto Gaslini di Genova, Università di Genova e ricercatore di Fondazione Telethon.

Oggi in tutto il mondo si celebra la Giornata internazionale dell’epilessia, malattia neurologica con cui secondo l’Organizzazione mondiale della sanità convivono 50 milioni di persone, 500mila solo in Italia: numeri che giustificano la richiesta di sviluppo di un Piano di azione globale, auspicato dalla Federazione italiana epilessie (Fie) e appoggiato anche dal ministero delle Salute. Alla base c’è un problema “elettrico” che manda letteralmente in tilt alcune cellule nervose e si traduce in crisi epilettiche che si manifestano in maniera molto eterogenea: possono essere di tipo convulsivo oppure essere caratterizzate da spasmi muscolari, perdita di coscienza o senso di nausea, difficoltà digestive, disturbi visivi, in relazione alle aree del cervello interessate dalla “shock elettrico”. Età di insorgenza, quadro clinico e sensibilità alle terapie sono estremamente variabili e, in una percentuale significativa dei casi, geneticamente determinate. Ad oggi, Fondazione Telethon ha investito oltre 13 milioni di euro in progetti di ricerca sulle basi genetiche dell’epilessia.

Negli ultimi vent’anni la genetica ha dato un contributo fondamentale alla comprensione di questa complessa patologia, che in realtà dovremmo considerare come un gruppo di patologie – spiega Federico Zara dell’U.O.C. Genetica Medica dell’Istituto Gaslini di Genova, Università di Genova e ricercatore Telethon fin dai primi anni di vita della Fondazione. “Prima del 2000 si sapeva poco o nulla sulle basi genetiche dell’epilessia, mentre oggi sono quasi mille i geni associati a vario titolo a questa malattia. Se in molti casi la componente genetica è solo una delle concause, ci sono invece vere e proprie forme genetiche in cui l’epilessia è il sintomo principale. È il caso per esempio delle encefalopatie epilettiche, come la CDKL5 o la sindrome di Dravet, che insorgono già in età pediatrica e comportano oltre all’epilessia anche ritardo cognitivo e disturbi del movimento: grazie ai progressi della genetica siamo in grado di diagnosticare con precisione fino al 40 per cento di queste forme, tra le più gravi in assoluto e generalmente resistenti alle terapie farmacologiche disponibili”.

La diagnosi molecolare è il primo, indispensabile tassello: “dare un’etichetta” non è importante soltanto dal punto di vista umano per le famiglie, che possono così chiamare per nome la loro battaglia quotidiana, ma anche fondamentali risvolti pratici quali la possibilità di costituire un’associazione e di ricevere una consulenza adeguata in caso di future gravidanze. “Le encefalopatie epilettiche sono in genere dovute e mutazioni de novo, ovvero non ereditarie – continua Zara – quindi non c’è un rischio significativamente aumentato di malattia nel caso di altri figli. Poter classificare le varie forme di epilessia ci permette di studiarne la storia naturale e conoscerne così l’evoluzione nel tempo. In parallelo possiamo poi studiare i meccanismi molecolari, che possono variare molto da una forma all’altra. Alcune per esempio dipendono dai difetti nei canali neuronali, proteine responsabili del passaggio di cariche elettriche attraverso la membrana delle cellule nervose, altre da difetti nelle sinapsi, i punti di contatto tra un neurone e l’altro. Maggiore è la nostra conoscenza, maggiore la possibilità di disegnare terapie mirate o di somministrare le più adatte tra quelle disponibili”.

Se in due terzi dei casi l’epilessia si può tenere sotto controllo grazie ai farmaci anti-convulsivanti, esiste anche una quota significativa di pazienti resistenti alle terapie, soprattutto nelle forme genetiche a insorgenza precoce. “La genetica ha aperto le porte alla possibilità di disegnare terapie su misura, in grado di agire sui meccanismi molecolari e quindi in modo molto più specifico rispetto ai farmaci tradizionali – continua Zara. “Per esempio la terapia genica, che è ormai una realtà per diverse malattie genetiche e non solo, potrebbe consentirci di fornire una versione sana delle proteine difettose in questi pazienti e di veicolarle attraverso dei vettori virali proprio nelle cellule dove servono”. Proprio lo scorso luglio, Fondazione Telethon ha finanziato presso l’Ospedale San Raffaele di Milano due progetti di ricerca focalizzati sullo sviluppo di strategie di terapia genica per due gravi sindromi caratterizzate da epilessia farmaco-resistente, quella di Rett e di Dravet, coordinati rispettivamente da Vania Broccoli e Gaia Colasante.

Lo sviluppo di questi approcci terapeutici è ancora a livello di ricerca in laboratorio: tra gli aspetti più complessi da affrontare c’è l’accesso delle molecole terapeutiche al cervello, un organo fisiologicamente protetto da una vera e propria barriera, denominata “emato-encefalica”, che regola selettivamente cosa può raggiungere l’organo e lo protegge da agenti e sostanze nocive. “Aumentare la permeabilità di questa barriera naturale è quello che ci proponiamo di fare anche noi nel caso del deficit di GLUT1, una rara malattia genetica dovuta a un difetto nel trasporto del glucosio al cervello e caratterizzata da epilessia spesso farmaco-resistente” spiega Zara, che ha recentemente ricevuto un finanziamento dall’Associazione italiana GLUT1 Onlus, in partnership con Fondazione Telethon, proprio per studiare approcci terapeutici alternativi per questa rara malattia genetica, per la quale al momento l’unica opzione è rappresentata dalla dieta chetogena, spesso indicata in caso di epilessia farmaco-resistente: “sostituendo l’apporto di glucosio con i grassi si può fornire al cervello una fonte di energia alternativa utilizzabile, ma nel tempo questa dieta diventa difficile da seguire in modo rigoroso e può alla lunga avere anche effetti dannosi sull’organismo. Ecco perché stiamo studiando dei sistemi alternativi, basati su piccole molecole che possano promuovere la produzione endogena della proteina mancante oppure aumentare la permeabilità della barriera emato-encefalica al glucosio. Quest’ultimo approccio potrebbe rivelarsi utile anche in molti altri casi di farmaci che non riescono a raggiungere il cervello perché bloccati da questo sistema protettivo”. In generale, tutte queste nuove strategie in fase di studio per le rare forme genetiche potrebbero in futuro trovare applicazione anche nelle forme farmacoresistenti più comuni, a esordio più tardivo e dall’origine multifattoriale: un’ulteriore conferma di come la ricerca sulle malattie rare abbia un impatto a cascata anche su quelle a più larga diffusione. “Per questo è importante continuare a sostenere Telethon – conclude Zara. “Io stesso ho beneficiato di questi fondi fin dagli inizi della mia carriera e ho potuto rientrare in Italia a metà degli anni Novanta proprio grazie a una borsa di studio finanziata dalla Fondazione. Sono profondamente grato a chi ha permesso tutto questo, in primis i donatori, e spero di poter restituire almeno una parte di quanto ho ricevuto alle persone in attesa di una cura”.

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