Cellule speciali contro la porpora trombotica trombocitopenica

Nella giornata di sensibilizzazione sulla porpora trombotica trombocitopenica, Susanna Tomasoni dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS della sede di Bergamo racconta il suo nuovo progetto Telethon in cui proverà a mettere a punto una nuova terapia contro questa rara e subdola malattia del sangue.

Il gruppo di ricerca di Susanna Tomasoni, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS

Si presenta con sintomi che sembrano quelli dell’influenza o della sindrome premestruale, come mal di testa, febbre, stanchezza, pallore o, viceversa, rossore. Invece è una malattia rara che, se non riconosciuta, può portare anche al coma e alla morte: è la porpora trombotica trombocitopenica, una grave malattia del sangue caratterizzata dalla formazione di trombi, “tappi” che ostruiscono i vasi sanguigni e riducono l’apporto di ossigeno a diversi organi come reni, fegato, cuore, cervello. Domani se ne celebra in tutto il mondo la giornata mondiale e abbiamo colto l’occasione per parlarne con Susanna Tomasoni, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri di Bergamo che all’inizio di quest’anno ha ottenuto un finanziamento da Telethon per studiare un approccio terapeutico molto innovativo per questa rara malattia.

«Sono oltre quarant’anni che nel nostro istituto si studia questa malattia – spiega Tomasoni. A causarla è un’anomala attività delle piastrine, gli elementi del sangue che, aggregandosi, permettono di arrestare il flusso del sangue al di fuori della sua sede naturale. La coagulazione è un processo a cascata, in cui intervengono molte proteine la cui azione determina quella delle altre. Tra queste c’è il fattore di von Willebrand, una lunga molecola prodotta dalle cellule che ricoprono i vasi, che viene tagliata da un’altra proteina, ADAMTS13. Il fattore di von Willebrand tagliato promuove l’adesione e l’aggregazione delle piastrine nei siti di danno ai vasi sanguigni, formando il coagulo. Nelle persone con porpora trombotica trombocitopenica ADAMTS13 funziona male e questo taglio non avviene. Di conseguenza, il fattore di von Willebrand rimane sempre intero e le piastrine tendono ad aggregarsi maggiormente, formando i trombi che, nei casi più gravi, possono provocare ictus e infarti, anche fatali. Parallelamente, le piastrine aggregate “spariscono” dal circolo sanguigno principale, provocando trombocitopenia. Da qui il nome complesso e apparentemente contraddittorio di questa malattia».

Il progetto di ricerca di Susanna Tomasoni

Nella maggior parte dei casi la carenza di ADAMTS13 è di origine autoimmune, dipende cioè da anticorpi prodotti dall’organismo stesso contro questa proteina. Esiste però anche una forma genetica, molto più rara, dovuta a un difetto nelle istruzioni per la sintesi della proteina: per manifestare i sintomi occorre ereditarlo da entrambi i genitori, portatori sani e quindi generalmente inconsapevoli di esserlo. È proprio sulla forma genetica che si concentra il progetto di ricerca di Tomasoni, che si propone di sviluppare una nuova terapia cellulare. «Oggi l’unico trattamento disponibile consiste in infusioni periodiche di plasma di donatori, ogni 2-3 settimane. Questo consente di fornire ai pazienti la proteina corretta ed evitare il rischio di trombosi, ma ha un impatto significativo sulla qualità di vita, perché costringe a recarsi regolarmente in ospedale e può esporre al rischio di reazioni allergiche e infezioni. In alternativa, è in fase di sperimentazione clinica il fattore prodotto artificialmente, come già avviene per l’emofilia per esempio, che rispetto a quello estratto dal plasma sarebbe più sicuro. Noi invece proponiamo una strategia diversa: creare in laboratorio delle cellule in grado di produrre in modo continuo la proteina ADAMTS13, come una fabbrica endogena».

«Sapere di poter avere un impatto sulla vita di persone con malattie gravi, rare e per questo poco studiate è una spinta formidabile per noi ricercatori, che ripaga da qualsiasi frustrazione».

Susanna Tomasoni, ricercatrice Telethon

Grazie al finanziamento Telethon ottenuto in occasione dell’ultimo bando per la ricerca extramurale, Tomasoni e collaboratori produrranno cellule staminali a partire da cellule del sangue periferico di donatori. Sono le cosiddette cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), ottenute cioè “riprogrammando” cellule adulte e specializzate, come quelle del sangue, in modo da farle tornare a uno stadio precedente di sviluppo, quello indifferenziato, in cui possono dare luogo a cellule di diverso tipo. Una tecnica oggi ampiamente in uso nei laboratori di tutto il mondo e che ha rivoluzionato la medicina rigenerativa tanto da far meritare il premio Nobel nel 2012 al suo scopritore, Shinya Yamanaka. «Istruiremo queste cellule a diventare cellule stellate del fegato, quelle che normalmente producono la proteina ADAMTS13. Non solo, continua la ricercatrice, grazie a un’altra tecnica da Nobel, l’editing genetico tramite CRISPR/Cas9, modificheremo il Dna di queste cellule in modo da renderle “accettabili” per il nostro sistema immunitario ed evitarne il rigetto. Questo renderebbe universale questa terapia, utilizzabile in tempi rapidi da tutti i pazienti indipendentemente dal loro specifico difetto genetico. In futuro, poi, possiamo immaginare di estenderla ad altre malattie che richiedano un intervento immediato di questo tipo».

Un altro aspetto innovativo dell’approccio proposto dai ricercatori dell’Istituto Mario Negri è che queste cellule terapeutiche non saranno somministrate da sole, ma sotto forma di un mini-organo tridimensionale, fatto di cellule stellate ma anche da cellule endoteliali (cioè dei vasi sanguigni) ed epatociti (le cellule che costituiscono la struttura del fegato). «Chiariamo subito che oggi nessuno è in grado di ricostruire un organo completo e funzionante in laboratorio – puntualizza Tomasoni. Questi mini-organi, definiti organoidi, non sono organi in miniatura, ma aggregati di tipi cellulari diversi che si organizzano nello spazio e ci aiutano a studiare le interazioni tra cellule diverse. Ogni organo è fatto di tanti tipi cellulari, dai ruoli diversi e complementari fra loro, e noi non sappiamo ancora riprodurre questa complessità in vitro. Premesso questo, vogliamo studiare se somministrando questi organoidi invece delle sole cellule stellate del fegato si possa ottenere un effetto terapeutico migliore. Inizialmente lo valuteremo in un modello animale messo a punto da colleghi dell’Università del Kansas, il pesce zebra, che riproduce molto bene i sintomi della malattia. Se questi primi esperimenti daranno buoni risultati, potremo poi ipotizzare una successiva applicazione nell’uomo. Sapere di poter avere un impatto sulla vita di persone con malattie gravi, rare e per questo poco studiate è una spinta formidabile per noi ricercatori, che ripaga da qualsiasi frustrazione. Negli ultimi anni abbiamo visto nascere le prime terapie avanzate, non più sperimentali ma veri e propri farmaci: un traguardo che quando ho iniziato questo lavoro sembrava un sogno e che invece adesso è una realtà, a cui spero di dare anche io il mio contributo».

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