Oggi la bambina nata con la mucopolisaccaridosi di tipo 6, grazie alla terapia genica studiata al Tigem, può sentirsi libera, rincorrere l’autonomia e il sogno di diventare attrice.

«Mamma, me la cavo da sola!». Una frase che ogni adolescente ha pronunciato nella sua vita, alle a uscire con gli amici, a prendere i mezzi pubblici, a coltivare sogni per il futuro. Yvonne, quattordicenne di un paese in provincia di Lecce, non fa eccezione. Dopo le medie ha deciso di iscriversi al liceo linguistico perché adora l’inglese e un giorno vorrebbe viaggiare e lavorare come insegnante in Inghilterra. Né la distanza, né il fatto che le sue amiche abbiano scelto scuole diverse l’ha intimorita. Altra sua grande passione è il teatro: segue un corso di recitazione e lo scorso maggio ha interpretato il suo primo ruolo, l’Azzeccagarbugli de “I Promessi Sposi”. Quando recita si sente libera, senza limiti: una bella conquista per lei, che fin dalla nascita di limiti ne ha dovuti superare tanti.

Un’infanzia complicata

Già, perché Yvonne, così simile per tanti aspetti alle sue coetanee, non ha avuto un’infanzia facile. Fin da piccolissima ha messo in allarme i genitori, Nadia e Grazio: ipotonica alla nascita, poi una displasia a entrambe le gambe che ritarda molto la capacità di camminare da sola. A due anni e mezzo la sua schiena è sempre più curva e ai problemi scheletrici si aggiungono quelli agli occhi: le viene diagnosticato un glaucoma congenito. Un quadro complesso che insospettisce i medici dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma dove i genitori l’hanno portata per capirci di più: dopo numerosi ricoveri e analisi, nell’estate del 2012 arriva purtroppo la diagnosi di una malattia genetica rara, la mucopolisaccaridosi di tipo 6.

I problemi agli occhi e alle ossa - e come si vedrà in seguito anche al cuore - sono il risultato dell’accumulo di alcuni prodotti del metabolismo cellulare non smaltiti, a causa della mancanza di un enzima. Non c’è una cura risolutiva: quello che si può fare è sottoporsi ogni settimana all’infusione endovenosa dell’enzima. Per tutta la vita.

Yvonne e la sua famiglia trascorrono molto tempo in ospedale, per la terapia enzimatica, ma anche per i frequenti ricoveri. Nel 2015 e nel 2018 si renderà necessario un intervento di decompressione midollare, per liberare il midollo osseo dalle tossine accumulate ed evitare problemi alle gambe. Ricorda mamma Nadia: «Quando guardo negli occhi mia figlia Yvonne ritrovo il senso di tutto quello che ho fatto: i viaggi da Lecce verso tutta l’Italia per cercare una cura alla mucopolisaccaridosi di tipo 6, le lunghe attese per vedere qualche piccolo risultato incoraggiante, gli incastri con tutti gli impegni quotidiani. Yvonne è piccola. È la mia piccola, ma non ha mai paura. È sempre tranquilla e sorridente con noi, con la sorella, con i medici e gli infermieri che fanno parte della sua vita da sempre».

La svolta grazie alla ricerca Telethon

A imprimere una svolta positiva nella vita di questa bambina è stata la ricerca, quella dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli. Proprio qui, il gruppo di Alberto Auricchio ha messo a punto una terapia genica in grado di fornire, attraverso un virus modificato, il gene codificante l’enzima mancante. Somministrato attraverso il sangue, il prezioso vettore virale raggiunge il fegato e lo rende di nuovo capace di produrre la proteina detossificante.

Nell’estate del 2019 Yvonne è stata inserita nello studio sperimentale in corso dal 2017 al Policlinico universitario di Napoli, sotto la guida di Nicola Brunetti-Pierri del Tigem: dei partecipanti alla sperimentazione, è stata tra quelli che hanno ricevuto la dose più alta di farmaco sperimentale e tuttora presenta livelli di enzima sufficienti a evitare le infusioni in ospedale. La cautela è d’obbligo, ma i ricercatori sono ottimisti e sperano che l’effetto terapeutico possa mantenersi nel tempo (leggi il comunicato stampa sui primi risultati dello studio).

Una nuova vita

Nonostante i problemi alla vista che ancora persistono, nel complesso Yvonne sta bene. È allegra, innamorata della vita. Ha un bel rapporto con la sorella maggiore Greta, con cui condivide gli interessi tipici della loro età. L’aspetto minuto, dovuto all’inevitabile impatto della sua patologia sulla crescita, non deve ingannare: è molto determinata. Per mamma Nadia è difficile “lasciarla andare”, ma ammette che dovrà abituarsi alla sua crescente voglia di indipendenza.

È profondamente grata alla Fondazione Telethon e ai ricercatori che hanno offerto a sua figlia l’opportunità di una vita migliore: «ci hanno fatto sentire delle principesse, non c’è regalo che possiamo far loro per ringraziarli. Senza questo medicinale non saremmo arrivati fin dove siamo adesso. Sapere che esistono persone che studiano la malattia di tua figlia e cercano di sconfiggerla ci ha fatto sentire importanti e non abbandonati. Per tutti questi anni abbiamo continuato ad essere fiduciosi e a credere nella ricerca, e abbiamo fatto bene. Certo, non mancano i momenti di sconforto e la stanchezza si fa sentire, ma poi Yvonne mi guarda e mi dice “Mamma, ce la faremo” e allora raccolgo le forze e riparto».

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