Mucopolisaccaridosi tipo 6
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Cos'è e come si manifesta la mucopolisaccaridosi di tipo 6?
- Detta anche malattia di Maroteaux-Lamy, la mucopolisaccaridosi di tipo 6 è caratterizzata dall’accumulo nei lisosomi (organuli cellulari deputati alla degradazione di varie molecole) di una sostanza chiamata dermatansolfato. Esordisce in genere durante l’infanzia, con manifestazione a carico di tre strutture principali dell'organismo: lo scheletro (deformità scheletriche e bassa statura); gli occhi (opacità corneale); il cuore (inspessimento di alcune valvole). A differenza di altre mucopolisaccaridosi, non colpisce il sistema nervoso centrale, per cui le persone affette non hanno ritardo mentale.
Come si trasmette la mucopolisaccaridosi di tipo 6?
- La mucopolisaccaridosi di tipo 6 è causata da mutazioni del gene codificante per l’enzima arilsulfatasi-B, che è normalmente responsabile della degradazione del dermatansolfato all’interno dei lisosomi. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva: i genitori sono portatori sani della mutazione, mentre ciascun figlio della coppia ha il 25% di probabilità di essere malato.
Come avviene la diagnosi per la mucopolisaccaridosi di tipo 6?
- La diagnosi si basa sull’osservazione clinica e sul dosaggio dell'enzima all'interno di alcune cellule del paziente (in particolare cellule del sangue e della pelle). È possibile la diagnosi genetica, con ricerca di mutazioni nel gene coinvolto.
Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la mucopolisaccaridosi di tipo 6?
- Da alcuni anni è disponibile la terapia enzimatica sostitutiva, che consiste nell’infusione periodica dell’enzima arisulfatasi-B prodotto attraverso tecniche di ingegneria genetica. L’infusione viene effettuata in day-hospital con una frequenza variabile da una volta ogni due settimane a una volta ogni mese. L’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli ha messo a punto un protocollo di terapia genica per questa malattia, che rispetto alla terapia enzimatica avrebbe il vantaggio di essere meno invasiva (non andrebbe fatta ogni settimana) e soprattutto permetterebbe di raggiungere organi che al momento non sono ben raggiunti, come ad esempio l’osso. L'obiettivo della terapia genica è fornire al paziente il gene corretto per ripristinare la funzione dell'enzima ed evitare così l'accumulo di sostanze tossiche che determinano danni agli organi. La terapia genica avviene attraverso una singola infusione in una vena periferica del farmaco, ovvero un virus trattato in laboratorio per eliminare gli effetti dannosi e conservarne la capacità di trasferire geni. Le cellule del fegato che ricevono il gene corretto diventano una fabbrica per la produzione e secrezione dell'enzima, che viene poi captato dagli altri organi. Lo studio clinico si svolge presso il Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali sezione di Pediatria dell’AOU “Federico II” di Napoli e prevede il coinvolgimento di pazienti sia italiani che stranieri di età superiore ai 4 anni: i primi pazienti arruolabili, che hanno quindi effettuato una sorta di pre-screening, provengono dall'Italia, dall'Olanda e dalla Turchia. Ulteriori pazienti potranno candidarsi o attraverso i centri sperimentali coinvolti nello studio, o attraverso le associazioni o contattando direttamente lo staff del Tigem coinvolto nello studio. Il primo paziente è stato trattato nel 2017.
Ultimo aggiornamento
01.01.18
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