Sindrome di Phelan McDermid: il 22 ottobre è la giornata mondiale

Intervista alla ricercatrice Chiara Verpelli per raccontare il contributo della ricerca finanziata da Fondazione Telethon allo studio della malattia.

«Ero una studentessa di dottorato quando ho incontrato per la prima volta una bambina con la sindrome di Phelan McDermid ed è stata come una folgorazione. Stavo già studiando qualcosa di estremamente affascinante come il cervello, ma ho deciso in quel momento che nella mia vita di ricercatrice non avrei voluto lavorare solo per pubblicare i miei risultati su importanti riviste scientifiche, ma soprattutto per produrre conoscenza che potesse essere utile per i bambini con questa sindrome e per le loro famiglie».

Chiara Verpelli, ricercatrice dell’Istituto di neuroscienze del CNR di Milano, si emoziona ancora quando ripensa ai suoi prima passi nella ricerca sulla sindrome di Phelan McDermid, che non ha più abbandonato e che nel solo 2023 l’ha portata a ricevere ben due finanziamenti Telethon: uno con il bando multi-round e l’altro con il bando Telethon-Cariplo. In occasione della giornata mondiale di sensibilizzazione sulla sindrome, che si celebra il 22 ottobre, abbiamo chiesto proprio a Verpelli di fare un punto sulla malattia e sul suo lavoro.

Dalle cause genetiche ai sintomi: una sindrome complessa

Come spesso accade per le malattie del neurosviluppo, la sindrome di Phelan McDermid si presenta con manifestazioni che possono essere molto variabili da un paziente all’altro, ma con alcune caratteristiche comuni: tratti autistici, disabilità intellettiva di vario grado, ipotonia muscolare alla nascita, ritardo nello sviluppo, perdita del linguaggio e alcuni dismorfismi. In alcuni pazienti è presente epilessia, anche resistente ai farmaci, mentre altri possono presentare disturbi a livello gastrointestinale o cardiaco.

«La malattia – spiega Verpelli - è causata in genere dalla perdita di una porzione più o meno estesa (delezione) di una regione specifica del cromosoma 22, che contiene un gene chiamato Shank3, codificante per una proteina coinvolta nel funzionamento delle sinapsi, i punti di contatto e di comunicazione tra neuroni». La perdita di Shank3 è considerata la causa principale dei sintomi, anche perché in alcuni pazienti non ci sono delezioni cromosomiche ma alterazioni minime nella sequenza di Dna del gene. «Tuttavia, poiché ci sono pazienti con una perdita molto estesa del cromosoma 22, non si può escludere che anche altri geni siano coinvolti nell’insorgenza della sindrome o nella modulazione delle sue manifestazioni».

Lo stesso gruppo di Verpelli ha pubblicato, pochi anni fa, uno studio che suggerisce il possibile coinvolgimento di un altro gene. Senza contare che in alcuni pazienti - anche se pochi - la perdita del cromosoma non riguarda Shank3.

Questa grande complessità anche genetica della malattia si traduce nel fatto che, al momento, manca ancora una terapia specifica. «La strada per arrivarci è ancora lunga, ma sono ottimista» dichiara Verpelli, ricordando che è in corso qualche tentativo di utilizzare per la Phelan McDermid farmaci già utilizzati per altre condizioni (riposizionamento): una strategia che potrebbe accelerare l’arrivo sul mercato di farmaci in grado di agire almeno su alcuni sintomi. Inoltre, di recente è stata avviata negli Stati Uniti una sperimentazione clinica per valutare l’effetto dell’ormone di crescita insulino-simile (IgF1) su aspetti comportamentali di bambini e adolescenti con la sindrome. «Indipendentemente da come andrà - commenta la ricercatrice - considero già un grande successo il fatto che sia partita, se pensiamo che solo 15 anni fa di questa sindrome non sapevamo praticamente nulla. Significa che c’è stato tantissimo lavoro, che ha portato a tantissime conoscenze utili per tentare un approccio clinico». È quindi ragionevole aspettarsi che, nei prossimi anni, qualcosa possa muoversi anche per la sindrome di Phelan McDermid, come sta succedendo per altre malattie del neurosviluppo come la sindrome di Rett.

Capire Shank3

Da quel primo incontro con una piccola paziente, uno degli interessi scientifici principali di Chiara Verpelli è il ruolo di Shank3 a livello delle sinapsi. «Abbiamo scoperto che questa proteina forma un complesso con altre due proteine, Homer e il recettore mGlu5, che penso sia fondamentale per il funzionamento delle sinapsi. Ora stiamo cercando di capire in che modo Shank3 regola la formazione di questo complesso e quali sono gli effetti di suoi eventuali malfuzionamenti».

Per esempio, grazie a un precedente finanziamento Telethon Verpelli e collaboratori hanno mostrato che, in assenza di Shank3, un innalzamento dell'attività del recettore mGlu5 permette di migliorare alcune caratteristiche di modelli preclinici della malattia. «Questo ci fa pensare che il recettore sia un buon bersaglio farmacologico».

Intanto, i risultati di altri esperimenti hanno permesso di capire che in alcune aree cerebrali di modelli preclinici della malattia caratterizzati da assenza di Shank3 c’è anche una riduzione marcata di una proteina che fa parte dei ribosomi, le “macchine cellulari” dedicate alla sintesi delle proteine. «In effetti nei nostri modelli abbiamo osservato una riduzione marcata della sintesi proteica. Con il nuovo finanziamento del bando multi-round vogliamo studiare meglio che cosa succede ai ribosomi quando manca Shank3 e verificare se, migliorando la loro funzionalità, può esserci un miglioramento delle caratteristiche dei nostri modelli».

Sempre rispetto a Shank3, un’ultima linea di ricerca del laboratorio di Verpelli riguarda il suo ruolo non solo in ambito neuronale, ma anche nelle cellule gliali, cellule nervose un tempo ritenute un semplice collante tra neuroni e oggi, invece, considerate molto importanti per varie funzionalità nervose, comprese quelle sinaptiche.

L’importanza di “illuminare il buio”

Gli stessi esperimenti che hanno permesso di scoprire la riduzione della proteina ribosomiale in cellule senza Shank3 hanno anche portato a scoprire la marcata riduzione di un’altra proteina, chiama Kctd20, di cui si sa molto poco. Qui, però, entra in gioco l’altro bando Telethon, congiunto con Cariplo, che ha proprio l’obiettivo di spingere la ricerca su zone ancora oscure, poco conosciute, che potrebbero però rivelarsi importanti per conoscere meglio i meccanismi alla base di malattie genetiche rare e sviluppare nuove terapie. «Lo scopo del nostro progetto è capire che cosa fa Kctd20 e verificare se può essere un nuovo bersaglio terapeutico per la sindrome di Phelan McDermid».   

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