Retinite pigmentosa: il mese di febbraio dedicato alla sensibilizzazione

Febbraio è il mese dedicato alla retinite pigmentosa, la più comune forma di cecità ereditaria, su cui la Fondazione Telethon ha investito ad oggi oltre 5,5 milioni di euro in progetti di ricerca. 

Alberto Auricchio, ricercatore dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli (Tigem).
Alberto Auricchio, ricercatore dell'Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli (Tigem).

Tra i gruppi di ricerca Telethon storicamente più impegnati nello studio delle malattie ereditarie della retina c’è quello di Alberto Auricchio dell’Istituto Telethon di genetica e medicina (Tigem) di Pozzuoli.

Insieme al gruppo guidato da Alessandra Recchia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, i ricercatori napoletani hanno recentemente pubblicato sull’American Journal of Human Genetics i primi risultati preclinici dell’applicazione dell’editing genetico alle forme dominanti di questa malattia, molto eterogenea dal punto di vista genetico. Ad oggi, infatti, ne sono state descritte oltre 3000 varianti, a danno di circa 70 geni. Tra questi, quello della rodopsina codifica per una proteina essenziale per la conversione dell’impulso luminoso in un segnale chimico grazie a cui il cervello elabora le immagini. Le oltre 150 mutazioni nel gene della rodopsina ad oggi descritte sono tutte dominanti: basta cioè che una sola delle due copie del gene sia mutata perché si manifesti la malattia.

Perché l'editing genetico?

Come ha spiegato Auricchio all’Osservatorio terapie avanzate, «la terapia genica classica prevede l’aggiunta di una copia corretta del gene all’interno delle cellule della retina e trova tipicamente utilizzo contro le forme recessive, in cui entrambe le copie del gene sono mutate e non funzionano: il caso per esempio dell’amaurosi congenita di Leber, per cui esiste un farmaco di questo tipo già sul mercato. Nel caso però di una patologia dominante, in cui la mutazione determina la produzione di una proteina tossica per l’organismo, non serve fornire una copia corretta ma occorre disattivare la copia mutata del gene: per farlo, insieme al gruppo della prof.ssa Alessandra Recchia, abbiamo deciso di ricorrere al sistema di editing genetico Crispr-Cas9portando le forbici molecolari dentro le cellule della retina grazie a un vettore virale adeno-associato (AAV). In particolare, abbiamo disegnato le nostre forbici molecolari per una specifica sottopopolazione di pazienti, quelli con la mutazione p.Pro347Ser, una delle più frequenti in Europa».

«In questo modo si esegue un taglio mirato a livello della copia del gene che produce la proteina tossica, disattivandola e lasciando solo la copia sana del gene che funziona normalmente».

Alberto Auricchio, ricercatore Tigem

«Gli esperimenti che abbiamo condotto su modelli murini hanno dimostrato la riuscita di questa disattivazione».

A fronte di questi risultati incoraggianti, Auricchio pone però molta cautela sull’applicazione nell’uomo: «La traduzione in clinica di questo approccio è più complessa rispetto alla terapia genica tradizionale, dal momento che la sicurezza del sistema di editing deve essere definito con grande accuratezza. Uno degli svantaggi di Crispr-Cas9 è che purtroppo, a volte, le forbici tagliano in maniera aspecifica il DNA, con il rischio di inattivare geni importanti. Nei nostri studi, fortunatamente, ciò non è successo, ma questa forbice è un enzima che viene inserito sotto forma di gene con il vettore AAV. Vogliamo essere certi che funzioni una sola volta e solamente nel punto specifico che ci interessa perciò dobbiamo continuare ad indagare la sicurezza dell’approccio prima di cominciare il cammino traslazionale».

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