Francesca, immunologa pediatrica, racconta l’emozione provata nell’aver cambiato la vita del piccolo Fabio, nato con una grave malattia genetica del sistema immunitario, grazie alla terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano.

Francesca Ferrua, medico pediatra, insieme a Fabio. trattato con la terapia genica per la sindrome di Wiskott-Aldrich

«Sapere di aver contribuito a dare l’opportunità di vivere una vita normale a un bambino nato con una grave malattia genetica è qualcosa che ti porti dentro per sempre». Non ha dubbi Francesca Ferrua, medico pediatra dell’Unità di immunoematologia pediatrica dell’Ospedale San Raffaele di Milano diretta dal professor Alessandro Aiuti: da sempre si occupa di malattie genetiche rare che impediscono un corretto sviluppo e funzionamento del sistema immunitario, le immunodeficienze primitive. Malattie complesse, spesso difficili da riconoscere e che possono mettere in pericolo la vita dei bambini affetti fin dai primi mesi.

«Sapere di aver dato l’opportunità di una vita normale a un bambino nato con una grave malattia genetica è qualcosa che ti porti dentro per sempre».

Francesca Ferrua, medico

Per alcune di queste malattie, grazie al lavoro dei ricercatori e dei medici dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano, oggi esiste una possibilità di cura in più: è il caso della sindrome di Wiskott-Aldrich, per la quale grazie alla ricerca Telethon è stata messa a punto una terapia genica sperimentata con successo su oltre venti pazienti provenienti da tutto il mondo e che presto potrebbe diventare un farmaco rimborsato, come già avvenuto per altre malattie.

L’importanza di una diagnosi tempestiva

Uno di loro è Fabio, nato a Berlino da genitori italiani: il suo, come racconta Francesca, «era un caso particolarmente grave, che si è manifestato fin dai primissimi mesi di vita. In questa sindrome a non funzionare sono soprattutto le piastrine e i globuli bianchi, responsabili rispettivamente della protezione dell’organismo dai sanguinamenti e della difesa dagli agenti infettivi come virus, batteri, funghi. Come se non bastasse, il sistema immunitario non solo funziona male nella protezione dalle infezioni, ma può anche agire in maniera sregolata, attaccando parti dell’organismo stesso o provocando infiammazione incontrollata».

Fabio, nato con la sindrome di Wiskott Aldrich insieme a mamma Cecilia
Fabio, nato con la sindrome di Wiskott Aldrich insieme a sua mamma Cecilia

A fare la differenza per Fabio sono stati inizialmente i medici dell’Ospedale Burlo Garofolo di Trieste, dove il bambino è stato ricoverato con febbre alta, rash cutaneo e tumefazione articolare, anemia e piastrinopenia. Grazie a una precoce intuizione, la sindrome di Wiskott-Aldrich è stata diagnosticata tempestivamente e questo ha favorito una gestione ottimale del quadro clinico di Fabio in tempi rapidi.

Un’opportunità dalla terapia genica

Una volta che le condizioni di Fabio si sono stabilizzate, ai suoi genitori è stata prospettata la possibilità della terapia genica presso l’Ospedale San Raffaele di Milano. «Abbiamo incontrato questa famiglia per la prima volta nel marzo del 2019 e fin dall’inizio si sono dimostrati speciali: informati, fiduciosi, collaborativi. Non hanno mai perso la speranza, neanche nei momenti più difficili che pur ci sono stati, e nonostante la distanza visto che, per motivi lavorativi, il papà è rimasto a Berlino con la sorellina più grande per quasi un anno. Sono stati di grande ispirazione anche per noi medici, c’è molto da imparare da persone così».

Il percorso di cura, infatti, è stato piuttosto complesso. «Innanzitutto abbiamo dovuto aspettare qualche mese perché il quadro clinico del bambino si stabilizzasse ulteriormente. Poi, finalmente, dopo aver effettuato tutte le valutazioni necessarie e ottenuto il consenso informato della famiglia, alla fine dell’estate abbiamo raccolto le sue cellule staminali ematopoietiche da correggere in laboratorio: grazie a un vettore virale siamo infatti in grado di fornire alle cellule una versione funzionante del gene responsabile della malattia. Il 18 ottobre abbiamo reinfuso nel sangue di Fabio le sue cellule corrette, che nei mesi successivi hanno ricostituito un sistema immunitario funzionante… e di lì a pochi mesi ne avremmo avuta una ulteriore conferma».

La prova del nove

Nel marzo del 2020, circa cinque mesi dopo la terapia genica, appena esplosa in tutto il mondo la pandemia da COVID-19, Fabio e la sua mamma sono pronti a tornare a casa: i primi controlli sono andati bene ed è giunto finalmente il momento, dopo mesi di isolamento, di ricongiungersi al resto della famiglia a Berlino.

«Purtroppo sono risultati entrambi positivi al nuovo coronavirus» ricorda Francesca.

«Ma il sistema immunitario “nuovo” di Fabio, corretto grazie alla terapia genica, gli ha permesso di combattere il Covid»

«L’intero staff medico era molto preoccupato, anche perché erano davvero le prime fasi della pandemia e nessuno sapeva molto di SARS-CoV2 e di quello che avrebbe potuto provocare. E invece Fabio non solo ha avuto sintomi molto blandi, ma ha superato l’infezione senza complicanze né strascichi successivi, come peraltro abbiamo osservato successivamente in altri bambini come lui trattati con la terapia genica. Il suo sistema immunitario “nuovo”, corretto grazie alla terapia genica, ha permesso a Fabio di combattere efficacemente questo temibile virus.

Un nuovo futuro, una normalità non scontata

Fabio adesso sta bene, va all’asilo e fa tutte le cose che fa sua sorella: una sorella che, di fatto, ha imparato a conoscere soltanto al rientro a casa, con quasi due anni di ritardo.

Francesca, che ha una bambina di cinque anni, ammette che da quando è diventata mamma la relazione con le famiglie di questi bambini è diventata ancora più forte e coinvolgente. «Mettersi nei loro panni è impossibile, perché queste situazioni si capiscono davvero solo quando le si vive in prima persona. Ma da quando è nata mia figlia, comprendo in modo ancor più profondo e concreto le numerose limitazioni che le immunodeficienze impongono a questi bambini. Non possono vivere la loro vita come i coetanei, giocare con loro, fare sport, andare in piscina o alle feste di compleanno, esplorare liberamente il mondo che li circonda. In un certo senso, la pandemia ha dato la possibilità a ciascuno di noi di provare quella che per i nostri pazienti spesso è la loro confinata realtà quotidiana.

Negli ultimi due anni, infatti, tante di queste limitazioni sono entrate a far parte delle nostre vite e in quelle dei nostri figli, evidenziando l’impatto negativo che possono avere nella vita e nello sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Ma se auspicabilmente l’emergenza pandemica a un certo punto rientrerà, l’isolamento non finirà per i nostri pazienti, a meno che non venga offerta loro una cura. Per questo è importante continuare a sostenere la ricerca scientifica e offrire loro un nuovo futuro».

E il ricordo più bello di Fabio? «Mi vengono in mente le fotografie che ci hanno inviato i genitori della sua prima festa di compleanno con gli amichetti (con tanto di caccia al dinosauro!) e della prima vacanza di famiglia tutti e quattro insieme al mare la scorsa estate. Ma ancora prima di questo, penso al giorno in cui quel piccolo terremoto di Fabio si è rotto il braccino giocando, qualche mese dopo la terapia genica. La madre mi disse che era felice, perché finalmente gli era successa una cosa da bambino normale, vissuta in modo normale, senza complicanze, ma con una lunga fila di amici, inclusi noi medici, pronti a firmare il suo gesso. Sono piccole cose, che però fanno capire quanto sia prezioso restituire una normalità e dare una speranza di futuro a questi bambini».

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