Ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica hanno generato per la prima volta una mappatura completa di queste cellule fondamentali per il nostro sistema di difesa.

Generata per la prima volta prima volta nell’essere umano una mappatura completa a elevata risoluzione dei neutrofili, cellule fondamentali del nostro sistema immunitario per la difesa dell’organismo contro le infezioni. Il lavoro, che pubblicato su Nature Immunology, è stato coordinato da Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del Sistema immunitario innato dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) e professore associato presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, ed è il frutto della collaborazione tra ricercatori di base e clinici.

Questo atlante descrive come i neutrofili modificano il loro profilo di espressione genica in condizioni di stress ambientale causato da patologie quali il tumore del pancreas e le infezioni con SARS-CoV2, oppure nel corso di trattamenti che prevedono l’impiego di cellule staminali del sangue, come il trapianto o la terapia genica ex vivo.

Grazie a questo strumento sarà possibile identificare con precisione i meccanismi molecolari alla base dello sviluppo e dell’attivazione dei neutrofili umani in condizioni fisiologiche e patologiche, con importanti implicazioni cliniche.

Neutrofili: cosa sono e qual è il loro ruolo nell’immunità

I granulociti neutrofili sono la prima, essenziale, linea di difesa dell’organismo contro le infezioni. Vengono chiamati così perché trasportano dei granuli carichi di sostanze tossiche che, quando rilasciate, sono in grado di eliminare i microorganismi patogeni. Questo e altri processi – la fagocitosi, la produzione di radicali liberi o il rilascio di reti di DNA – rendono i neutrofili delle vere e proprie macchine “programmate per uccidere”. Tuttavia, l’attivazione incontrollata di queste cellule può causare danno dei tessuti, malattie infiammatorie e autoimmuni.

Pur essendo molto abbondanti (fino al 70% dei globuli bianchi), i neutrofili sopravvivono solo per pochi giorni nel sangue prima di essere sostituiti da cellule prodotte nel midollo osseo: si stima che negli adulti si generino cento miliardi di nuovi neutrofili ogni giorno. Questo riciclo permette di avere sempre a disposizione dei neutrofili freschi e perfettamente efficienti, in grado di eliminare i patogeni limitando i potenziali danni ai tessuti.

Perché un atlante dei neutrofili?

Proprio perché hanno un’emivita breve, si è storicamente ritenuto che i neutrofili avessero una scarsa capacità di adattarsi all’ambiente esterno.

«In un articolo su Nature Reviews Immunology del 2019, avevamo ipotizzato che queste cellule non solo fossero in grado di recepire segnali dal microambiente, ma che questi adattamenti locali consentissero loro di supportare il corretto funzionamento dei tessuti», specifica Renato Ostuni. «L’ipotesi è stata poi confermata in uno studio del 2020 su Cell, in cui abbiamo contribuito a dimostrare che i neutrofili del topo acquisiscono un profilo di espressione genica e funzionale specifico per il tessuto di residenza». Il nuovo studio, invece, estende questi concetti all’essere umano.

Le applicazioni pratiche

«Aver decifrato il network di geni che guidano il differenziamento dei neutrofili ci potrà consentire di sviluppare approcci di terapia genica e cellulare per potenziare le capacità dell’organismo di produrre queste cellule essenziali per le risposte immunitarie. Ciò è particolarmente rilevante per immunodeficienze primitive quali le neutropenie congenite o la malattia cronica granulomatosa (CGD), nelle quali un difettivo sviluppo dei neutrofili rende i pazienti vulnerabili a infezioni batteriche», afferma Ostuni.

Potenziare la capacità di produrre neutrofili potrebbe inoltre aumentare la sicurezza del trapianto di midollo osseo, una procedura molto utilizzata per il trattamento di malattie del sangue quali le leucemie e alla base dei protocolli di terapia genica con cellule staminali ematopoietiche che hanno già permesso di curare diverse malattie genetiche. Infatti, nel periodo successivo alla chemioterapia - necessaria per eliminare le cellule malate e consentire l’attecchimento delle cellule del donatore o corrette con la terapia genica - i pazienti sono privi di neutrofili e particolarmente vulnerabili a infezioni da patogeni opportunistici.

Tra le possibili ricadute dello studio c’è anche la possibilità di utilizzare i neutrofili come marcatori diagnostici o prognostici. I ricercatori hanno infatti identificato delle “firme molecolari” che i neutrofili acquisiscono in pazienti con infezioni severe oppure nel corso della progressione tumorale, le quali potrebbero identificare precocemente il decorso della malattia o aiutare nella definizione delle terapie più efficaci

Un lavoro multidisciplinare e tecnologie all’avanguardia

In questo studio sono state utilizzate tecnologie all’avanguardia - tra cui il sequenziamento dell’RNA su singola cellula sul quale il gruppo di Ostuni è tra i massimi esperti - che hanno consentito di definire il profilo di espressione genica in più di centomila neutrofili umani.

«Si è trattato di uno sforzo immane, perché queste cellule tendono a morire molto velocemente dopo essere messe in coltura, rilasciando enzimi che degradano le molecole di RNA. Di fatto, la difficoltà tecnica di analizzare i neutrofili al di fuori del loro ambiente naturale è uno dei motivi per cui, finora, si è ignorato come queste cellule regolino il loro programma trascrizionale» specifica la ricercatrice Elisa Montaldo, tra gli autori principali dello studio.

«L’analisi informatica e statistica dei dati di sequenziamento è stata una componente essenziale del progetto, perché ha permesso di osservare il sistema biologico in maniera complessiva e di formulare ipotesi sperimentali», spiega Eleonora Lusito, biologa computazionale autrice principale dello studio.

Il successo dello studio risiede quindi nell’integrazione di competenze da parte dei ricercatori del laboratorio dell’SR-Tiget: dall’isolamento e la manipolazione ex vivo delle cellule umane all’applicazione di tecnologie genomiche complesse, dall’analisi computazionale dei dati di sequenziamento fino all’interpretazione biologica e clinica dei risultati.

«Una carta vincente è stata la stretta collaborazione tra ricercatori di base e clinici presso l’Ospedale San Raffaele, che ci ha consentito di avere accesso a campioni biologici molto preziosi, e di collaborare quotidianamente per la selezione dei pazienti e per l’interpretazione in senso clinico dei dati generato nello studio. In poche altre istituzioni, in Italia e in Europa, sarebbe stato possibile svolgere uno studio di questa portata», conclude Ostuni.

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