Colesterolo buono e cattivo: tutto ciò che c’è da sapere

HDL è quello buono, LDL è quello cattivo: ma che cosa significa? Il colesterolo è un grasso prodotto dal fegato fondamentale per molte attività delle nostre cellule ed è essenziale per la nostra vita. Tuttavia, si sa poco di tutte le sue sfaccettature.

La formazione del colesterolo in una vena
La formazione del colesterolo in una vena

Ad aumentare il rischio di malattie come infarto e ictus è quello che nel linguaggio comune è detto colesterolo “cattivo”. Le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo e mantenere i livelli di colesterolo entro certi limiti è un’indicazione condivisa a livello globale.

Quando non basta adottare stili di vita salutari, si può intervenire farmacologicamente. Tra i farmaci più impiegati ci sono le ormai celebri statine: utilizzate da quasi 40 anni, sono state introdotte anche grazie agli studi su una malattia genetica rara. Ma andiamo alla scoperta di questa molecola così importante e “da tenere d’occhio”.

Che cos'è il colesterolo?

Insieme ai trigliceridi, il colesterolo costituisce la maggior parte dei grassi contenuti nel nostro corpo: prodotto dal fegato, è presente in tutte le nostre cellule. Identificato per la prima volta a fine Settecento, serve per la sintesi di diversi ormoni e della vitamina D ed è un componente importante delle membrane cellulari e di vari tessuti. 

Oltre alla quota endogena prodotta dall’organismo, il colesterolo può essere introdotto dall’esterno con la dieta. Lo troviamo negli alimenti ricchi di grassi animali (carne, burro, salumi, formaggi, tuorlo dell'uovo, frattaglie), mentre è assente in quelli di origine vegetale come frutta, verdura e cereali.

Perchè parliamo di colesterolo buono e cattivo?

Il colesterolo non circola liberamente all’interno dell’organismo, ma viene trasportato nel sangue da specifiche proteine, dette appunto “lipoproteine” (letteralmente “proteine che trasportano grassi”).

Esistono due tipi fondamentali di lipoproteine che trasportano il colesterolo: quelle a bassa densità (Low Density Lipoprotein, LDL), che distribuiscono il colesterolo a tutti gli organi, e quelle ad alta densità (High Density Lipoprotein, HDL), che rimuovono il colesterolo in eccesso e lo portano al fegato dove viene eliminato.

Livelli di colesterolo LDL troppo elevati sono da tempo riconosciuti come un importante fattore di rischio per le malattie cardiovascolari: poiché tende lentamente a depositarsi sulla parete interna delle arterie, può favorire lo sviluppo dell’aterosclerosi e per questo è definito anche “colesterolo cattivo”. Viceversa, il colesterolo HDL svolge un ruolo protettivo nei confronti delle arterie, perché rimuove il colesterolo in eccesso: ecco perché viene anche chiamato “colesterolo buono”.

Quali sono i valori raccomandati di colesterolo?

La quantità di colesterolo circolante nel sangue (colesterolemia) si misura in milligrammi per decilitro (mg/dl). Questi sono i valori raccomandati dall’Istituto superiore di sanità:

  • colesterolo-LDL – entro i 100 mg/dl
  • colesterolo-HDL – uguale o superiore a 50 mg/dl
  • colesterolo totale (la somma dei due valori) – entro i 200 mg/dl.
entro i 100 mg/dl colesterolo-LDL
uguale o +50 mg/dl colesterolo-HDL
entro i 200 mg/dl colesterolo totale (la somma dei due valori)

Quali sono le cause del colesterolo alto?

Livelli eccessivi di colesterolo (ipercolesterolemia) possono dipendere da stili di vita scorretti (alimentazione squilibrata, fumo, sedentarietà, sovrappeso), oppure da malattie concomitanti come il diabete.

Il colesterolo alto può dipendere da fattori genetici?

In casi più rari l’eccesso di colesterolo può dipendere non dagli stili di vita, ma da un difetto genetico che riduce la capacità del fegato di captarlo ed eliminarlo: si parla in questo caso di ipercolesterolemia familiare.

Ne esistono due forme. Quella più diffusa è la forma eterozigote, nella quale un individuo possiede una sola copia alterata di uno dei geni coinvolti nella malattia.

Ricordiamo infatti che ogni gene esiste in due copie (a parte quelli collocati sui cromosomi sessuali). Nella forma omozigote, più rara ma anche più grave, l’individuo possiede due copie alterate di uno stesso gene oppure una copia alterata per ciascuno di due diversi geni coinvolti. Nelle forme più gravi, i livelli di LDL possono superare anche di tre volte i valori normali.

Questo si traduce in una drammatica anticipazione di tutte le problematiche cardiovascolari associate: in assenza di terapia il rischio di infarto è alto già intorno ai 15-20 anni e l’aspettativa di vita difficilmente supera i 30.

Inoltre, si stima che fino a un terzo dei casi di infarto prima dei 40 anni siano dovuti proprio a questa malattia non diagnosticata o curata in modo inappropriato.

Ipotesi affascinante: la donna immortalata da Leonardo da Vinci come “la Gioconda” potesse avere l’ipercolesterolemia familiare.

A un occhio attento, infatti, i piccoli depositi di grasso presenti sulle sue mani e in prossimità degli occhi (chiamati xantomi e xantelasmi) potrebbero essere letti proprio come i segni tipici di questa malattia genetica.

Come si fa ad abbassare il colesterolo?

  • Il primo fattore su cui agire per abbassare i livelli di colesterolo è l’alimentazione. La prima raccomandazione è quella di limitare il consumo di grassi in generale. In particolare, di sostituire i grassi saturi (contenuti per esempio in carni rosse, formaggi, insaccati, burro) con quelli polinsaturi (come quelli contenuti nel pesce e negli oli vegetali non tropicali) e monoinsaturi (componenti principali dell’olio d’oliva). È inoltre importante aumentare il consumo di frutta, verdura e legumi e limitare il consumo di dolci e di alcol.
  • Svolgere regolare attività fisica
  • Abolire il fumo
  • Tenere sotto controllo la pressione arteriosa e tenere sotto controllo il peso sono comportamenti che contribuiscono a mantenere il colesterolo entro i livelli raccomandati.

Quando invece modificare gli stili di vita non basta, si può intervenire farmacologicamente. Tra i farmaci più ampiamente utilizzati per controllare i livelli di colesterolo ci sono le statine. L’introduzione di questi farmaci, avvenuta per la prima volta nel 1987 con la lovastatina, si deve anche agli studi sull’ipercolesterolemia familiare.

Quando questa condizione è stata descritta per la prima volta alla fine degli anni Trenta del Novecento, gli scienziati si sono chiesti se l’associazione tra livelli elevati di colesterolo e aumento del rischio cardiovascolare potesse esistere anche nella popolazione generale. In parallelo, cresceva l’esigenza di saperne di più su questa molecola e di trovare strategie in grado di ridurne i livelli, quando in eccesso.

Un'importante scoperta

La svolta è stata all’inizio degli anni Settanta, quando i biochimici Michael Brown e Joseph Goldstein dell’Università di Dallas, futuri premi Nobel, hanno dimostrato che nelle persone con ipercolesterolemia familiare mancava o era carente un recettore per il colesterolo LDL normalmente presente sulle cellule del fegato. Senza questo sensore del colesterolo in circolo, le cellule perdono la capacità di regolare la produzione endogena della molecola, che di conseguenza si accumula.

Negli stessi anni, un altro evento chiave è stata l’identificazione, grazie al ricercatore Akira Endo dell’azienda farmaceutica Sankyo di Tokio, della prima statina, estratta da una muffa isolata da un campione di riso e chiamata mevastatina.

Il primo studio clinico che ne ha dimostrato l’efficacia nel ridurre in modo significativo il colesterolo LDL nel sangue senza particolari effetti collaterali è stato condotto, all’inizio degli anni Ottanta, proprio in persone con ipercolesterolemia familiare. Nonostante poi la prima statina a entrare sul mercato sia stata un’altra, la lovastatina, quel primo studio è stato fondamentale. Un esempio brillante di come studiare le malattie genetiche rare possa avere un impatto per la collettività intera.

Come si cura l'ipercolesterolemia familiare?

Nell’ipercolesterolemia familiare, le statine sono efficaci nei casi di gravità intermedia, quando la mutazione è soltanto su uno dei geni ereditati (eterozigosi), anche in combinazione con altri farmaci che aumentano l’espressione del recettore per LDL (ezetimibe o PCSK9 inibitori).

Più difficile è invece abbassare i livelli di colesterolo nei casi di omozigosi, in cui talvolta bisogna addirittura ricorrere all’aferesi, un processo di “pulizia” simile alla dialisi.

Negli ultimi anni la ricerca ha portato allo sviluppo di farmaci specifici anche per queste forme gravi, come il lomitapide, ma non basta. Tuttora, infatti, i casi più gravi pur con la terapia possono andare incontro a infarto prima dei 40 anni.

Si può abbassare il colesterolo grazie alla terapia genica?

Per quanto l’approccio farmacologico sia ampiamente consolidato, scienziati di tutto il mondo sono al lavoro per individuare nuove strategie per tenerlo sotto controllo. Le terapie avanzate non fanno eccezione.

Tra i geni più studiati in questo senso c’è PCSK9, responsabile di alcune forme di ipercolesterolemia familiare. Alcuni pazienti hanno una versione mutata di questo gene, che è più attivo del normale. Questo comporta una minor efficacia delle cellule del fegato nel “catturare” il colesterolo LDL, con conseguente innalzamento dei livelli della molecola nel sangue.

Quali studi ci sono al riguardo?

Al momento sono in corso vari studi clinici per testare alcune terapie innovative che puntano a inattivare questo gene in persone con ipercolesterolemia familiare. Tra queste anche una piattaforma basata sull’editing genetico, quei “bisturi molecolari” che consentono di correggere in modo preciso il DNA.

Al contempo, PCSK9 rappresenta anche un ottimo bersaglio per un’altra tecnologia, altamente innovativa, chiamata silenziamento epigenetico. Questo consente di modulare l’attivazione di un gene senza modificarne la sequenza, come avviene invece nell’editing genetico.

All’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano, il gruppo guidato da Angelo Lombardo ha descritto su Nature i primi positivi risultati dell’applicazione di questa tecnologia nel modello murino di ipercolesterolemia familiare. I ricercatori sono riusciti a “spegnere” PCSK9 in modo stabile e duraturo grazie a degli “editori”, molecole in grado di riconoscere il gene e aggiungere particolari gruppi chimici alla sua sequenza.

Questa modifica rende il gene inaccessibile al macchinario cellulare che dà il via al processo responsabile della sintesi di proteine. Una sorta di interruttore molecolare che, pur non modificando il Dna, può essere trasmesso anche alle cellule figlie.  

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