«Lo psicologo è il depositario delle storie delle persone»

La storia di Romina al Centro clinico Nemo di Arenzano comincia addirittura prima dell’apertura del Centro. «Quando ho saputo della nascita del Nemo - racconta la psicologo-psicoterapeuta - ho subito desiderato farne parte. Oggi ancora di più sento una grande responsabilità».

Lavorare al Nemo significa accettare una sfida importante, che ha una grande particolarità: seguire gli ospiti a 360 gradi. Prendere in carico la persona significa metterle a disposizione tante diverse professionalità pronte ad essere un’unica squadra. «In ospedale si deve mettere tutta la propria capacità di lavorare in gruppo, di collaborare. Per realizzare una reale integrazione tra la cura della malattia e la presa in carico della sofferenza della persona è essenziale un atteggiamento di questo tipo. Nel lavoro in équipe - continua Romina - è importante la comunicazione tra medici, operatori e specialisti, per supportare il paziente nella difficile condizione di adattamento alla malattia, ai nuovi ausili, alle notizie che riguardano fasi dell'evoluzione delle cure. E nel lavoro in team si trova insieme la strada migliore».

Perché il gruppo possa dare il meglio, è fondamentale che il singolo metta tutto se stesso. «La responsabilità che sento più forte è rispetto al tema della comunicazione. Mi riferisco al momento in cui la capacità di esprimersi di un paziente, sia a livello orale che di scrittura, non è più sufficiente e adeguata al bisogno di comunicare. In quelle circostanze è necessario il supporto di strategie aumentative e l’introduzione di ausili. Dunque - racconta la psicologa - una parte dell'impegno nel reparto di Riabilitazione Neuromuscolare riguarda gli ausili di comunicazione, che sono da anni un ambito aggiuntivo, di grande interesse, alle competenze psicologiche. Quando si deve affrontare il rischio di perdere la voce, trovare e usare strategie comunicative aumentative nelle fasi intermedie della malattia migliora la possibilità di comunicare anche in fasi più avanzate».

Ed è in queste situazioni che c’è bisogno di un ulteriore scatto in avanti. «È allora che deve nascere un percorso comune, da condividere. Un’esperienza che, in un colloquio, preveda il bisogno di “prestare la propria mente all’altro”. Sono frangenti particolari in cui si deve dare voce a un pensiero. Senza dimenticare mai quanto sia fondamentale e doveroso agire nel massimo rispetto dei tempi di comunicazione dell’altro. È una sfida. Dura e complicata».

Anche perché bisogna curare l’aspetto mentale ed il ruolo e la professionalità delle figure come quella di Romina sono centrali. «Un altro compito è quello di mantenere “viva” la speranza, monitorando lo stato dell’umore, dei pazienti, dei familiari e anche del personale. Bisogna tenere alta la motivazione a lottare contro la malattia per stimolare la collaborazione anche nelle attività riabilitative. Lo psicologo è il depositario delle storie delle persone e del loro percorso emotivo durante le fasi della malattia».

Una responsabilità grande almeno quanto le emozioni che genera. «Tutto questo dà vita ad una relazione che arricchisce tutte le persone, coinvolte. Perché entrare in ospedale significa specchiarsi con la malattia, spesso attraverso l’incontro con persone in condizioni difficili».

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