Screening neonatale, il test salvavita per bambini come Emma

La storia di Chiara e della sua piccola Emma è la storia della forza della ricerca scientifica. Emma è nata con una grave malattia genetica rara, ma la diagnosi precoce le ha cambiato il destino. E la ricerca Telethon potrebbe dare nuove opportunità ai bambini come lei.

Emma insieme ai suoi genitori Enrico e Chiara

Emma è stata una figlia tanto voluta e arrivata a sorpresa, pochi giorni prima di Natale. Ma con l’anno nuovo, per i suoi genitori Chiara ed Enrico, arriva una telefonata dall’ospedale che cambia tutto: la piccola deve ripetere lo screening metabolico, una possibilità offerta, su base volontaria, ai genitori di verificare, tramite un test su poche gocce di sangue, la presenza di alcune patologie. Dopo mesi di visite in ospedale, analisi e controanalisi, arriva la diagnosi definitiva: mucopolisaccaridosi di tipo 1, una malattia genetica molto rara di cui i due genitori non sapevano di essere portatori sani. È dovuta alla mancanza di un enzima “spazzino”, che evita l’accumulo di sostanze tossiche nelle cellule dell’organismo. Compromette la crescita e lo sviluppo cognitivo e può portare alla morte già entro l’adolescenza per complicanze cardiovascolari e respiratorie.

Purtroppo la piccola ha la forma più grave, detta anche sindrome di Hurler: non basta infonderle periodicamente l’enzima, l’unico modo per contrastare la progressione della malattia è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. All’interno del midollo osseo, queste cellule sono in grado di generare tutti gli elementi del sangue, tra cui anche quelli in grado di ripulire l’organismo da sostanze tossiche. Purché, naturalmente, possiedano una versione funzionante di quell’enzima che manca alla piccola Emma.

Una storia che poteva avere un finale drammatico, ma che grazie a quel test prende un’altra piega. Chiara, ospite della maratona Telethon, lo ha raccontato anche in un libro in uscita in questi giorni, “Nostra figlia è rara”, edito da Città Nuova Editrice.

Dalla paura alla speranza

Dal momento della diagnosi la famiglia si ritrova ogni settimana in ospedale per la terapia, lontano da casa. Parallelamente parte la ricerca di un donatore di cellule staminali, possibilmente da cordone ombelicale date le migliori possibilità di successo rispetto a un trapianto da donatore adulto. I medici identificano ben cinque cordoni compatibili, di cui dalla compatibilità molto elevata. Il trapianto funziona, il decorso è normale e gli effetti auspicati si vedono prima di quanto atteso: l’organismo di Emma inizia a produrre l’enzima mancante e la progressione della malattia rallenta drasticamente.

«Grazie al fatto di essere intervenuti con lo screening neonatale e all’esito positivo del trapianto potremmo raggiungere risultati anche migliori di quelli ottenuti in passato».

Chiara, mamma di Emma

«Oggi nostra figlia conduce una vita normale, identica a quella degli altri bambini – racconta Chiara. Da genitori siamo consapevoli che il trapianto non garantisce effetti così buoni anche sul lungo termine, però non abbiamo nemmeno perso la speranza: grazie al fatto di essere intervenuti così presto in virtù dello screening neonatale e dell’esito positivo del trapianto potremmo raggiungere risultati anche migliori di quelli ottenuti in passato».

Un altro futuro grazie alla terapia genica

Grazie alla ricerca, per i bambini come Emma c’è un’altra possibilità all’orizzonte: la terapia genica, che consente di correggere le cellule del bambino senza ricorrere a un donatore, che non sempre si trova purtroppo. All’Istituto San Raffaele Telethon di Milano è in corso dal 2016 uno studio clinico che ha già coinvolto otto bambini e che sta dando risultati molto promettenti, come descritto nelle scorse settimane fa su una delle più importanti riviste scientifiche del mondo, il New England Journal of Medicine.

Una volta prelevate dal paziente, le cellule staminali del sangue vengono messe a contatto con un vettore virale, un virus modificato in modo da non essere più capace di replicarsi, ma soltanto di entrare nelle cellule e trasportarvi le informazioni genetiche desiderate. Così corrette, le cellule staminali vengono restituite ai pazienti attraverso una semplice infusione nel sangue e possono raggiungere i vari organi, dove rilasciano l’enzima funzionante in grado di degradare le sostanze altrimenti tossiche.

Donazione di cordone e screening, due strumenti salvavita

«La terapia genica rappresenta il futuro se i risultati a oggi ottenuti verranno confermati – commenta Chiara. Nostra figlia non ha preso parte alla sperimentazione Telethon perché aveva un donatore e per il momento il trattamento sperimentale è rivolto a quei bambini che non hanno questa possibilità. È importante sensibilizzare le persone sulla donazione di midollo osseo, ma soprattutto del cordone ombelicale: si fa ancora troppo poco, eppure è preziosissima sia per scopi terapeutici che di ricerca. Tutte le donne in gravidanza devono sapere che, se ci sono le condizioni per la donazione, farla significa salvare delle vite».

«La terapia genica rappresenta il futuro».

Chiara, mamma di Emma

Il futuro di Emma sarebbe stato ben diverso se la sua malattia non fosse stata diagnosticata subito dopo la nascita ma più avanti, quando i danni sarebbero stati manifesti e irreversibili. Per questo Chiara ribadisce quanto sia importante lo screening neonatale. «Certo, quando il test porta all’identificazione di una malattia l’impatto psicologico è molto duro per tutta la famiglia, anche perché avviene in un momento molto delicato, a pochi giorni di vita del bambino. Ma poiché va a ricercare patologie su cui è possibile ed essenziale intervenire tempestivamente, è l’unico mezzo per cambiare radicalmente il futuro di questi bambini».

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