Naeem riceve la diagnosi di leucodistrofia metacromatica poco dopo la nascita: è il responso del test genetico fatto perché anche la sorella più grande aveva la stessa malattia. Per lui, però, grazie alla ricerca c’è una possibilità che la sorella non ha potuto avere.

«Oggi Naeem ha nove anni. La stessa età che aveva la nostra prima figlia quando la leucodistrofia metacromatica ce l’ha portata via». La commozione di papà Khairul è evidente, quando ricorda il destino di Shanaia, nata nel 1999 e mancata nel 2008, perché per la sua malattia allora non c’era nulla da fare. Anche Naeem, nato nel 2014, ha la stessa malattia, ma per lui è stato possibile scrivere una storia diversa, grazie a una terapia innovativa messa a punto, nel frattempo, dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget). «Un risultato importantissimo, che oggi permette ai genitori di bambini con questa malattia di nutrire speranze che prima non potevano permettersi di avere» sottolinea Khairul.

La scoperta della malattia

Quando Shanaia è nata sembrava tutto normale, solo con il passare del tempo sono arrivate le difficoltà motore e a poco meno di due anni è arrivata anche la diagnosi terribile di leucodistrofia metacromatica (MLD), una grave malattia neurodegenerativa che porta i bambini malati a spegnersi a poco a poco. «Allora non c’erano trattamenti. Dall’Inghilterra, dove abitiamo (nei pressi di Londra), siamo andati anche negli Stati Uniti per cercare una soluzione, ma non c’era proprio niente». Quando arriva Aisha, nel 2005, le viene subito fatto il test genetico per cercare l’eventuale alterazione genetica responsabile della malattia. Per fortuna è sana, ma non è così per l’ultimo figlio, Naeem: nel suo caso il test rivela che ha la stessa malattia della primogenita.

Una speranza a Milano

«In quel momento ci sono state soltanto lacrime», ricorda il papà, con la voce ancora incrinata dal pianto che tenta di controllare. «A differenza della prima volta, però, sembrava esserci almeno una speranza, perché i medici ci hanno detto che a Milano era in corso una sperimentazione per una nuova terapia, la terapia genica, che fornisce ai pazienti una versione corretta del gene difettoso».

«Spero che tutti quelli che possono supportino Telethon, perché si trovino cure sempre migliori per la leucodistrofia metacromatica e nuove cure per le altre malattie genetiche rare».  

papà Khairul

Subito la famiglia vola a Milano, all’SR-Tiget, dove dopo un mese di esami medici arriva l’ok a partecipare alla sperimentazione. «Ci hanno permesso di tornare a casa per una sola settimana per organizzarci, e dopo pochi giorni eravamo di nuovo in Italia, pronti a restarci per i sei mesi successivi».

Naeem ha otto mesi quando riceve la terapia genica; sua sorella, rimasta in Inghilterra, ha dieci anni. «Sono stati mesi durissimi, tra la preoccupazione per lui e la lontananza di lei, che veniva a trovarci quanto aveva le vacanze scolastiche. Però c’era la speranza che tutto questo avrebbe potuto cambiare la storia di Naeem, e quando i medici ci hanno detto che la terapia stava cominciando a dare buoni risultati abbiamo finalmente provato un po’ di sollievo».  

Naeem oggi

Per i genitori di Naeem, il confronto con la sorella mancata quando aveva la sua stessa età è inevitabile. «Certo, oggi nostro figlio ha alcuni limiti. Per esempio, parla molto lentamente (anche se in modo appropriato e pertinente) e al momento non cammina (ma a breve dovrebbe fare un intervento alle gambe che potrebbe restituirgli la capacità di camminare di nuovo) Però è evidente che le differenze rispetto alla sorella sono abissali». Naeem adora andare a scuola – «durante le vacanze a volte piange perché non può andarci» – ed è un grande appassionato di calcio e tifoso sfegatato del Chelsea. Come tutti i fratelli minori, ha un rapporto di amore-odio con la sorella maggiore (ma soprattutto amore!) e da grande sogna di fare il poliziotto. Intanto, si prepara a una grande avventura: se tutto andrà bene, a dicembre volerà per la prima volta in Bangladesh, il paese d’origine dei suoi genitori e quello in cui ancora vive la nonna materna. «Non ci siamo mai tornati da quando c’è lui, per non correre alcun rischio. Non riabbraccio mia madre da 12 anni», racconta mamma Esmatara. Ora, però, sembra proprio arrivato il momento di farlo.

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