Leonardo ha un carattere dirompente, socievole ed entusiasta. Mette tutti di buon umore con la sua simpatia contagiosa. Le sue sfide nel quotidiano sono date dalla malattia con cui è nato, l'osteogenesi imperfetta, eppure nulla lo ferma.

Leonardo, un solare bambino nato con l'osteogenesi imperfetta di tipo 4.
Leonardo, che affronta l'osteogenesi imperfetta di tipo 4.

Il piccolo Leonardo è un vero e proprio vulcano, una centrifuga di emozioni esplosive che contagiano chiunque gli stia vicino. «Averlo come fratello è come averne cento», lo ripete sempre Beatrice, la sua sorellina più grande che ha 11 anni. E in effetti nessuna frase potrebbe descriverlo meglio. «Subito dopo “mamma” e “papà”, una del le sue prime frasi è stata “buon anno”. Per strada non faceva altro che ripeterlo a chiunque passasse mettendo tutti di buon umore, perché Leo è così, la sua simpatia è contagiosa», racconta la mamma Irene.

Oltre a circondarsi di tanti amici, che insieme a lui sono i più scalmanati della classe, Leonardo ha molte passioni. La prima fra tutte è il calcio, è un interista sfegatato e adora andare allo stadio con il suo papà. Ama talmente tanto andare a vedere le partite, da superare le difficoltà imposte dalla sua malattia.

Sì, perché Leo da quando è nato convive con l’osteogenesi imperfetta, una malattia genetica rara, conosciuta anche come “la malattia delle ossa fragili”. Caratterizzata da fragilità scheletrica e da un'alta suscettibilità alle fratture ossee, anche in assenza di traumi o per traumi lievi. Aiutaci a sostenere la ricerca per bambini come Leonardo >

Una diagnosi tardiva

La diagnosi è arrivata solo all’ottavo mese di gravidanza di Irene. A Milano, i medici avevano capito che qualcosa non andava, ma i genitori non avevano ricevuto delle risposte certe e così hanno deciso di andare a Genova. Lì, per la prima volta, hanno sentito parlare di osteogenesi imperfetta di tipo 4. Cinque giorni dopo la nascita di Leo, sono iniziate le prime difficoltà: in ospedale si è rotto una gamba, ma è stato molto forte e lo sono stati anche i suoi genitori.

Fin da subito si sono avvicinati all’Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta, un supporto fondamentale per conoscere altre famiglie che affrontano la loro stessa condizione e, soprattutto, per far conoscere a Leonardo altri bambini con questa malattia. «A Leo ha fatto tanto bene capire che ci sono altri bimbi come lui e che non è solo. Si è creata una grande famiglia che si sostiene e fa rete davanti ai problemi». Attualmente non esiste una terapia risolutiva, ma la fisioterapia e il nuoto sono degli alleati indispensabili per affrontare la malattia.

«Gli ho spiegato che al mondo siamo tutti diversi e che ogni persona ha dei tratti distintivi che la rendono unica».

Irene, mamma di Leonardo

E proprio il nuoto con il tempo si è rivelato una vera e propria passione per Leo, perché in acqua si sente leggero e non ha paura di muoversi come succede quando è fuori dalla vasca. All’inizio non è stato facile accettare la convivenza con l’Osteogenesi imperfetta. «I primi anni sono stati complessi, entravamo ed uscivamo spesso dagli ospedali. Leo era arrabbiato, osservava gli altri bambini e si chiedeva perché non fossero come lui. Ma ha molte caratteristiche che gli altri non hanno e tra queste rientra anche l’osteogenesi imperfetta, che fa parte di lui».

Vivere al massimo

Leo è sempre stato abituato dalla famiglia a vivere a pieno, senza paura, anche davanti alle esperienze apparentemente più complesse, come l’inserimento scolastico. «Il primo impatto con la scuola è stato devastante. Per via del suo carattere così socievole ed empatico ho deciso, contro il volere del papà, - continua Irene - di mandarlo a scuola fin da subito, dai tre anni. La prima volta a scuola era felicissimo, ma si è rotto prima il femore e poi le braccia. Ho capito che in quella scuola non aveva trovato la sua dimensione, non era adatta a lui».

Da quel momento è iniziato un periodo difficile, Leo è rimasto a casa per un anno e, avendo un carattere così espansivo e aperto, è stato faticoso non frequentare la scuola. Poi però è tornato il sole.

«L’anno scorso è arrivato in una nuova scuola con delle maestre fantastiche, la classe lo ha accolto nel migliore dei modi e i compagni sono stati molto affettuosi e gentili, lo abbracciavano tutti. Hanno persino inventato il calcio da tavolo, un gioco interamente dedicato a lui».

Adesso Leo è in prima elementare ed è molto bravo in matematica. Già da più piccolo chiedeva ai genitori di fare insieme a lui diversi calcoli a mente, ne è sempre stato affascinato. Ha anche chiesto di iscriversi a un corso di pianoforte, sorprendendo la famiglia perché in casa non ha mai visto nessuno suonarlo. Tutte le maestre concordano sul fatto che sia un latin lover, perché cambia fidanzatina ogni 5 secondi. «Darà molto alla classe, sono sicura che i bambini non si soffermeranno sulla sua carrozzina, ma sapranno andare oltre, vedranno Leo per quello che è: una persona che emana gioia e voglia di vivere. Il suo handicap, che lo limita solo fisicamente, passerà in secondo piano».

Un quadro perfetto

La definizione “malattia delle ossa di vetro o cristallo” evoca un aspetto “romantico” dell’osteogenesi imperfetta, che non poteva passare inosservata al mondo del cinema. Tra i registi che ne sono rimasti affascinati, anche il francese Jean-Pierre Jeunet.

Nel suo più celebre film “Il favolo mondo di Amélie”, pellicola del 2001, Raymond Dufayel, vicino di casa della protagonista è infatti un anziano signore affetto da osteogenesi imperfetta che ama mettersi alla prova dipingendo quadri di Renoir. Personaggio chiave del film è a lui, uomo fragile e vulnerabile nel corpo, ma non nello spirito. A lui il regista affida un messaggio forte e dirompente per gli spettatori. «Mia piccola Amélie, lei non ha le ossa di vetro, lei può scontrarsi con la vita. Se lei si lascia scappare questa occasione, con il tempo sarà il suo cuore che diventerà secco e fragile come il mio scheletro. Perciò si lanci, accidenti a lei!».

Non si deve aver paura di vivere. Si deve avere il coraggio di osare, a costo di farsi male. Perché non vivere per paura non è una soluzione, ma una condanna.


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