Emanuele, piccolo grande guerriero contro una malattia mitocondriale

Racconta mamma Cristina: «Ho deciso di raccontare la nostra quotidianità suoi social augurandomi che si possa cambiare sguardo. Che ci sia meno pietismo e più solidarietà».

Emanuele è arrivato la vigilia di Natale del 2012, come un regalo speciale, il terzo figlio per Cristina e suo marito Lodovico dopo Noemi, che oggi ha 12 anni, e Davide, che ne ha compiuti 10 e prima di Rachele che ne ha 4. Il parto va bene, Emanuele è un bambino all'apparenza sano, ma, quando ha appena tre mesi di vita, i suoi genitori si accorgono che qualcosa non va. «Aveva smesso di prendere peso - ricorda Cristina - nemmeno il latte artificiale lo aiutava, e non riusciva a tenere la testa dritta, aveva una forte ipotonia. Ci sembrava un piccolo naufrago aggrappato a uno scoglio». Cominciano così lunghi accertamenti, e solo a nove mesi dal parto, dopo una biopsia muscolare, c'è la diagnosi: si tratta di una malattia genetica rara, una sindrome mitocondriale, degenerativa, al momento senza cura, che colpisce il metabolismo.

Un mese dopo, Emanuele ha una grave crisi respiratoria che lo stava portando via. Viene ricoverato in ospedale. Dalla terapia intensiva esce solo a dicembre, poco dopo il suo primo compleanno e torna a casa con tracheotomia e gastrostomia endoscopica percutanea (Peg) per respirare e alimentarsi. Da quel momento il Bambino Gesù diventa il loro centro di riferimento per le cure di Emanuele.

L’Emanuele che torna a casa è un bambino diverso per i suoi fratelli, Noemi, che allora aveva 5 anni e Davide, di soli 3. Cristina e Lodovico raccontano loro la realtà, permettendogli di prendere gradualmente confidenza con questo fratellino diverso dai fratelli dei loro amici.

Oggi Emanuele ha 8 anni e grazie alla riabilitazione, la logopedia e la fisioterapia riesce a comunicare con la Lis e con la comunicazione aumentativa alternativa. È un bambino sorridente, simpatico e molto autoironico. Dallo scorso anno ha iniziato a frequentare la scuola elementare, accompagnato dall’infermiera e dalle figure scolastiche che gli occorrono per esser incluso con la sua classe. «C’era un tempo - racconta Cristina - in cui pensavo che l’inclusione fosse qualcosa di estremamente difficile da sperimentare. Un tempo in cui pensavo che coinvolgere Emanuele in attività semplici per gli altri bambini lo potesse rendere triste. Negli anni ho capito che il primo passo verso l’inclusione sarei stata io a doverlo compiere. Tutti i cambiamenti che vogliamo vedere nel mondo hanno bisogno di un piccolo passo e il primo deve partire proprio da noi».

Cristina oggi condivide la realtà della sua famiglia sui social perché nella difficoltà che la vita gli ha riservato sente che c’è bisogno di testimoniare che i percorsi, anche quelli faticosi che non ti saresti mai augurato, si possono percorrere «ognuno col suo passo».

Raccontare una quotidianità che gira intorno alle esigenze della malattia di Emanuele, aiuta «a trovare un senso a tutto. E spero che altre famiglie possano non sentirsi sole. Ho aperto questo profilo su Instagram con un profondo desiderio di raccontare quanto la disabilità sia un aspetto della vita che non divide gli esseri umani. Quello che divide le persone sono i pregiudizi, la paura di quello che non si conosce. Allora ho deciso di raccontarla la nostra disabilità, la nostra quotidianità, il nostro amore per la vita. Augurandomi che l’empatia sia un valore che si possa diffondere. Che si possa cambiare sguardo. Che ci sia meno pietismo e più solidarietà».

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