Nato con la paraparesi spastica familiare di tipo 4, 17 anni, descrive la sua sedia a come un modo per dire a tutti chi è senza bisogno di usare parole. E intanto grazie al Bando Seed Grant di Fondazione Telethon e il sostegno dell’associazione dei pazienti si cercano terapie per migliorare i sintomi della patologia.

Sono migliaia le cose che devono incastrarsi affinché un bambino venga al mondo. Ma può capitare che non tutto vada per il verso giusto e una mutazione genetica non venga ereditata, ma sorga spontanea. È quello che è successo a Edoardo, un ragazzo di 17 anni nato con la paraparesi spastica familiare di tipo 4: questa condizione di spontaneità riguarda solo il 2-3% di tutte le paraparesi che si verificano nel mondo. Praticamente una rarità nella rarità.

Cosa significa? Significa che Edoardo ha i muscoli irrigiditi e di conseguenza non riesce a camminare ma, fortunatamente, riesce a mangiare e respirare senza supporti.

Intorno all’anno i primi segnali che qualcosa non andasse: quando dormiva si irrigidiva tutto e poi ha cominciato a camminare solo a 18 mesi, sulle punte. Ci sono voluti due anni e mezzo per avere una diagnosi, anzi «un pugno in faccia», come lo definisce mamma Marina. Tutti gli anni successivi sono caratterizzati da un “navigare a vista”.

«Sapere il nome della malattia di Edoardo è stato un po’ un sollievo e un po’ una condanna: vuol dire che per ora non c’è niente da fare»

Marina, mamma di Edoardo

Sapere che nome dare alla malattia «è stato un po’ un sollievo e un po’ una condanna: vuol dire che per ora non c’è niente da fare». La rarità nella rarità implica una scarsa conoscenza di quale potrebbe essere l’evolversi della patologia, non è possibile, quindi, prevedere cosa riserva il futuro per Edoardo. Quello che si può fare - per limitare i danni e farsi trovare fisicamente il più preparati possibile in caso di una nuova terapia - è dedicarsi alla psicomotricità, alla riabilitazione e al nuoto, che è diventato per Edoardo una grande passione.

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Edoardo oggi ha 17 anni, legge con passione i manga giapponesi che gli piacciono perché «alla fine danno sempre un messaggio di pace». Frequenta il liceo delle scienze umane a un’ora da casa perché, anche se costa sacrifici, quella scuola ha tutto ciò che gli serve per essere autonomo. Ha sviluppato un carattere gentile e attento alle persone. È molto saggio e ama la lentezza, è capace di riflessioni non comuni per la sua età. L’adolescenza non è un periodo facile per nessuno, ma Edoardo riesce sempre a vedere il lato positivo delle cose.

Con il tempo mamma Marina ha capito che doveva trovare dentro di sé le risorse per vivere una vita più complicata delle altre, aiutando Edoardo a costruire il suo bagaglio: «Bisogna andare avanti con quello che c’è, non si può aspettare che la soluzione arrivi da fuori senza far niente». Se potesse, se avesse potuto, Marina non avrebbe risparmiato nemmeno la più piccola esperienza per fargli vivere tutto. Descrive la sua vita come “l’impossibile reso possibile”, un territorio sconosciuto che «ha migliorato tutti noi in famiglia perché ci ha insegnato che dobbiamo intervenire in modo tempestivo e districarci, tirare fuori le nostre migliori risorse».

Il risultato di questo lavoro quotidiano, su sé stessa e per suo figlio, è condensato nelle parole che usa per descriverlo. Parole di stima, oltre che di affetto: «Ha caratteristiche uniche, una capacità di capire le persone che ho incontrato raramente nella mia vita. Ha tanto meno ma, glielo dico sempre, secondo me gli è stato dato anche qualcosa in più. È per questo qualcosa in più che lui ha, che tutti sono sempre bendisposti nei suoi confronti e non è scontato».

«Ho una malattia e invece di nascondermi faccio vedere a tutti cosa riesco a fare».

Edoardo

Proprio a partire da questa sua innata empatia, Edoardo sogna di iscriversi all’università per frequentare psicologia: «Perché - spiega il ragazzo - mi piace scoprire cosa pensano le altre persone, aiutarle a dare un’interpretazione ai loro pensieri e ai loro sogni». Si sente preparato per questo ruolo. «Io non penso di essere una persona che giudica, anzi odio chi giudica. Se uno giudica vuol dire che guarda subito alle cose brutte di una persona». E invece no, bisogna guardare a ciò che c’è di buono, nelle persone e nella vita.

Descrive la sua sedia a rotelle non solo come un modo per muoversi e raggiungere i posti che vuole, ma anche un modo per dire a tutti chi è senza bisogno di usare parole: «Ho una malattia e invece di nascondermi faccio vedere a tutti cosa riesco a fare».

Da quest’anno Telethon ha finanziato uno studio sulla paraparesi spastica che coinvolge proprio il gene mutato di Edoardo. La ricerca dona, dona per la ricerca >

Marina è tesoriere dell’associazione di pazienti, la A.I.Vi.P.S. ETS, che ha contribuito al finanziamento e che segue da vicino tutti i progressi. In futuro progetti come questo potrebbero portare a sviluppare medicine per rallentare l’irrigidimento dei muscoli oppure a una terapia più specifica. Anche se ci vorrà tanto tempo e tante risorse, Marina confida nel fatto che Fondazione Telethon possa riuscire a catalizzare l’attenzione delle persone e a raccogliere quanti più fondi possibili per sostenere il lavoro dei ricercatori. «Ci vuole tempo, è vero - spiega Marina -  e so che se anche la cura, una terapia fosse scoperta domani, non restituirebbe a Edoardo ciò che ha perso. Ma è anche vero che fino a 10 anni fa non si sapeva niente della malattia e oggi invece siamo qui a parlare di studi concreti. Vuol dire che nei prossimi 10 anni ci sarà molto da scoprire e da fare». La ricerca può donare ancora tanto a pazienti come Edoardo, dona per la ricerca >

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