Una serie di “laboratori sull'affettività” organizzati dall’Associazione Piemontese contro l’Epilessia per spiegare come essere di supporto a chi deve affrontare situazioni difficili per la malattia.

Due sorelline, Sara ed Emily, un legame indissolubile, due anime in una. Ad un certo punto una manifesta dei problemi di salute e l’altra si dimostra pronta a sostenerla e accompagnarla condividendo insieme momenti di difficoltà e di gioia.

La storia, scritta da una mamma, è uno spunto narrativo potente e uno strumento efficace per far comprendere a dei bambini cosa vuol dire avvicinarsi alla diversità, anche di chi ci è vicino. È l’obiettivo di un progetto di incontri realizzato da diversi anni dall’Associazione Piemontese contro l'Epilessia e dal titolo «Dal contagio emotivo all’empatia».

«Il progetto è stato concepito originalmente per spiegare agli alunni delle scuole primarie del Comune di Torino cosa vuol dire avere l’epilessia, e come poter essere di supporto ai compagni e alle compagne che potrebbero dover affrontare una situazione di disagio profondo» spiega Manuela Montalto, presidente dell’Associazione. Ma non solo. «Abbiamo da sempre, comunque, strutturato gli incontri mettendo al centro delle esperienze e delle iniziative proposte l’idea che ogni diversità, che si tratti di una disabilità fisica o psicologica, compresa la difficoltà di esprimersi, possa essere accolta senza pregiudizio, a 360 gradi, puntando a sviluppare, attraverso la conoscenza e contenendo ogni legittima paura o diffidenza, un atteggiamento empatico».

I contorni di ogni incontro, condotto da una o più psicoterapeute, sono stati pensati e ritagliati sulle esigenze delle singole classi, diverse per bisogni e caratteristiche degli alunni. «Io conduco questi incontri dal 2015 - racconta Teresa Furci, una delle psicologhe che ha contribuito a strutturare l’iniziativa. «Nelle due giornate di incontro, ognuna di due ore ciascuna, accompagniamo i bambini alla scoperta delle proprie emozioni per riconoscerle e comprenderne la portata e gli effetti: in loro stessi per poterle esprimere liberamente, e negli altri per poterle condividere ed entrare in comunicazione profonda con loro».

Ai bambini viene spiegato che ognuno, a qualsiasi età, può attraversare momenti di difficoltà e che non esiste miglior antidoto alla tristezza altrui che la forza del nostro aiuto, la delicatezza con cui riusciamo ad avvicinarci all’altro o all’altra, la tenerezza di una nostra parola. «Ogni incontro si avvale di momenti di interattività - racconta Furci - durante i quali i bambini sono liberi di esprimere ogni genere di domanda o perplessità. Spesso si è trattato di accogliere anche paura e tristezza, sentimenti comprensibili di fronte a situazioni di disagio riscontrate in bambini della loro stessa età».

Per aiutare i più piccoli è stato predisposto anche uno speciale Orologio dell’umore così che ognuno di loro potesse indicare quali stati d’animo la situazione ascoltata o vissuta poteva generare. È essenziale offrire ai bambini momenti che rompano il ritmo classico della didattica - continua Furci - parentesi di libera circolazione delle emozioni dove i bambini ritrovano spazi d’espressione differenti, tra loro e con interlocutori nuovi».

Fondamentale nella dinamica degli incontri anche il contributo dei volontari che, oltre ad assistere e partecipare alle attività degli incontri, portano la testimonianza di persone che l’epilessia la conoscono per esperienza diretta. Una di loro è Paola Millet, torinese, anche lei insegnante elementare: «I momenti più belli e coinvolgenti sono quelli di condivisione con i bambini, soprattutto dopo la lettura della storia di Sara ed Emily. Noi volontari siamo disponibili, in quel momento, a rispondere ai loro quesiti attingendo alla nostra esperienza personale. Ricordo un caso in cui un bambino, incoraggiato probabilmente dall’atmosfera di accoglienza e protezione, rivelò come la sorella maggiore soffrisse proprio di epilessia, particolare sconosciuto anche alle insegnanti, e come in famiglia avessero deciso di affrontare la situazione».

Gli incontri, dopo la pausa conseguente all’emergenza Covid, sono già ripresi anche nel corso dell’ultimo anno scolastico con le opportune precauzioni. «Un’esperienza che intendiamo proseguire - conclude la presidente Montalto - magari anche con i ragazzi più grandi, perché l’empatia sia un punto fermo nell’educazione emotiva di tutte le generazioni».

Per rendere sempre più salda ed efficace la collaborazione delle Associazioni in Rete abbiamo scelto di condividere i progetti di successo, realizzati dalle organizzazioni vicine alla Fondazione, sui nostri spazi web. Vogliamo mettere a fattor comune idee e processi vincenti, da cui trarre ispirazione e nuovo entusiasmo. Fondazione Telethon dà visibilità ai progetti delle singole Associazioni, nati con l'obiettivo di migliorare la qualità di vita dei pazienti con una malattia genetica rara. Vogliamo così stimolare il confronto e la possibilità per tutti di entrare in contatto con le Associazioni o richiedere approfondimenti in merito alle iniziative raccontate.

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