Varianti Covid-19: come nascono, come si identificano, perché se ne occupa anche il Tigem

L’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Pozzuoli (Tigem) è stato da subito in prima linea nel sequenziamento delle varianti Covid-19 presenti in Italia. Un primato reso possibile grazie alle competenze acquisite negli anni con la ricerca sulle malattie genetiche rare.

Davide Cacchiarelli

Alpha, Gamma, Delta, Omicron… Negli ultimi due anni abbiamo dovuto prendere confidenza con le lettere greche usate per indicare le nuove varianti del virus Sars-CoV-2 che via via si affacciavano nelle nostre vite. La tecnologia necessaria per identificare queste varianti e stabilire quanto sono frequenti in una popolazione è il sequenziamento del Dna, di cui oggi in Italia è leader indiscusso l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina (Tigem) di Pozzuoli: il singolo istituto che ha sequenziato più campioni di Sars-CoV-2 nel nostro Paese.

È un primato reso possibile anzitutto dalle competenze acquisite in anni di ricerca sulle malattie genetiche rare, dove il sequenziamento è fondamentale: per esempio, per andare a caccia dei geni responsabili di malattie dall’origine ancora ignota, come accade nel Programma Malattie senza diagnosi.

Al raggiungimento dei risultati del Tigem sul fronte sequenziamento Sars-CoV-2, inoltre, hanno contribuito finanziamenti speciali, per esempio della Regione Campania. E pochi giorni fa è arrivata la notizia della donazione, da parte del Distretto 2101 Campania di Rotary International, di tre strumenti che permetteranno di ottimizzare ulteriormente il processo, riducendo i tempi di preparazione dei campioni da sequenziare.

Abbiamo chiesto al responsabile del progetto di sequenziamento del virus del Covid-19 presso il Tigem, Davide Cacchiarelli, di aiutarci a fare il punto sul progetto stesso, ma anche di rispondere alle curiosità più comuni sul sequenziamento, sulle varianti che tanto continuano a spaventarci e sul perché un istituto dedicato alla ricerca sulle malattie genetiche rare ha deciso di occuparsi anche di Sars-CoV-2.

Alpha, delta, omicron… che cosa sono e come si formano le varianti di Sars-Cov-2

«Le varianti sono versioni differenti del virus causate dalla comparsa di mutazioni nel genoma, che nel caso del Sars-CoV-2 è costituito da Rna. A loro volta, le mutazioni sono variazioni della sequenza di “lettere” che compongono l’Rna del virus. La nascita di varianti è un processo assolutamente naturale della biologia del virus» spiega Cacchiarelli, che è anche professore di biologia molecolare all’Università Federico II di Napoli e responsabile del laboratorio di genomica integrata del Tigem.

«Una volta infettata una cellula, il virus comincia a moltiplicarsi molto velocemente al suo interno. Durante ogni ciclo di moltiplicazione, però può accadere che si verifichino degli errori di copiatura della sequenza di Rna, un po’ come accade quando si copia molte volte un testo. Questi errori sono appunto le mutazioni che caratterizzano le varianti».

Molte mutazioni non hanno effetti particolari sulla biologia del virus, ma alcune possono migliorare la sua capacità di moltiplicazione, o quella di infettare altri ospiti o, ancora la sua capacità di sottrarsi alla risposta immunitaria dell’ospite. La variante Omicron, per esempio, è caratterizzata da una serie di mutazioni che nel complesso la rendono più efficace nella diffusione rispetto alla variante Delta.

Le varianti insorgono per accumulo successivo di mutazioni. «Prendiamo il virus che per primo ha cominciato a diffondersi nel mondo a inizio 2020. Non era lo stesso virus di Wuhan, la città cinese nella quale il Covid-19 ha cominciato a manifestarsi, ma il suo genoma presentava già delle mutazioni che gli hanno conferito maggiore infettività. È la variante che si è diffusa in Lombardia, dalla quale si è originata la variante detta spagnola (responsabile della seconda ondata, da novembre 2020), che a sua volta è stata la base per l’insorgenza della variante inglese, alla fine del 2020, e così via. Per semplificare la comunicazione, alle varianti sono stati dati i nomi delle lettere dell’alfabeto greco. Diverso invece il caso di Omicron, che sembra derivare da una linea differente».

Perché è così importante sapere quali solo le varianti di Sars-CoV-2 in circolazione?

Anzitutto, conoscere le mutazioni di un virus può aiutare a prevedere quale sarà il suo comportamento: se sarà più o meno infettivo, più o meno resistente a vaccini o terapie, ecc. Inoltre, sapere quali sono le varianti in circolazione e, soprattutto, scoprire se stanno arrivando varianti differenti è molto importante per mettere in atto misure di salute pubblica specifiche per la situazione. Se comincia a circolare una variante particolarmente contagiosa, per esempio, un paese può decidere di mettere in atto particolari misure – come è stato il lockdown – per cercare di arginarne la diffusione. Proprio per seguire queste dinamiche esistono in ogni paese dei sistemi di sorveglianza: in Italia, questo sistema è gestito dall’Istituto Superiore di Sanità, che raccoglie su una piattaforma dedicata (I-Co-Gen) i dati di sequenziamento forniti dalle regioni.

Come funziona il sequenziamento e che cosa significare sequenziare un genoma?

Che si tratti del genoma di Sars-CoV-2, di quello di un bambino con una malattia non ancora identificata o di altro ancora, sequenziare significa semplicemente leggere la sequenza di lettere che lo compongono. Un po’ come fare lo spelling di una parola, con la differenza che le lettere da mettere in ordine sono molte di più: circa 30 mila nel caso del Sars-CoV-2 e più di tre miliardi per il genoma umano. A proposito: in questo caso le lettere sono molecole, che tecnicamente vengono chiamate basi. Nel Dna ce ne sono quattro, indicate in sigla come A,T,C e G.

«Oggi il sequenziamento - spiega Cacchiarelli - è una procedura altamente automatizzata che si basa su un’apparecchiatura speciale chiamata appunto sequenziatore. Esistono diversi metodi di sequenziamento: noi lavoriamo con il cosiddetto Next Generation Sequencing (il sequenziamento di nuova generazione), una tecnologia ad alta processività che permette di analizzare in parallelo migliaia di frammenti di Dna».

Nel caso del sequenziamento di Sars-CoV-2 al Tigem, tutto comincia con la raccolta dei campioni: materiale genetico estratto dai tamponi effettuati nelle varie Asl della Regione Campania. «Poiché la grande maggioranza dei sequenziatori lavora sul Dna, il primo passaggio è la conversione dell’Rna virale in Dna» spiega Cacchiarelli. «Il Dna viene quindi suddiviso in una serie di frammenti da 200-300 lettere ciascuno, e ognuno di questi viene copiato migliaia di volte (in gergo diciamo amplificato) in modo da avere sufficiente materiale a disposizione. Tutti questi frammenti vengono quindi caricati sul sequenziatore, insieme a reagenti che permettono di riconoscere e segnalare le diverse lettere (A, T, C e G)». Le tre apparecchiature fornite al Tigem dal Distretto 2101 Campania di Rotary InteRnational, per un valore totale di oltre 80 mila euro, si inseriscono proprio in questa fase e consentiranno di ridurre da cinque minuti a 30 secondi i tempi di preparazione dei campioni. Infine, la “lettura” fatta dal sequenziatore viene inviata a un computer, per l’analisi dei dati.

«Lo strumento che utilizziamo permetterebbe di analizzare un centinaio di campioni per volta, ma noi abbiamo ottimizzato la procedura per analizzarne circa 400» racconta il ricercatore. «Inoltre, abbiamo ristrutturato la fase di analisi dei dati, in modo che possa lavorare su cloud, cioè in un computer virtuale. Questo permette di processare le informazioni molto più rapidamente». Questo pacchetto di analisi informatica è risultato così efficiente da essere richiesto anche da altri: il Tigem lo ha già messo a disposizione del Karolinska Institutet di Stoccolma, uno dei più importanti istituti medici al mondo.

Quanto tempo occorre per sequenziare un campione e quanto costa?

Per tutta la procedura, dalla preparazione dei campioni al report sui dati, occorrono dai quattro ai cinque giorni. «L’ultimo passaggio è il caricamento dei dati sulla piattaforma nazionale di sorveglianza genomica (il sistema I-Co-Gen dell’Istituto superiore di sanità), oltre che sulla piattaforma internazionale GISAID. Il costo varia a seconda della tecnologia usata, del volume di campioni analizzati, degli accordi con le aziende che distribuiscono i reagenti» afferma Cacchiarelli. «In generale, direi che il costo oscilla tra un minimo di 10 euro a un massimo di 150 euro per campione. Noi riusciamo a tenere costi molto bassi, intorno ai 12 euro per campione, o 20 euro se includiamo tutti i costi finiti, tra i quali il personale». Per confronto, sequenziare un genoma umano completo costa circa 500 euro, mentre per l’esoma (le sole sequenze codificanti) occorrono circa 350 euro. Gli ultimi dati, risalenti ai 12 gennaio scorso, tracciano un quadro di assoluta rilevanza del sequenziamento di Sars-CoV-2 eseguito al Tigem nel panorama nazionale.

Quali sono i risultati più significativi del sequenziamento Covid condotto al Tigem?

«Finora, abbiamo caricato su GISAID la sequenza di oltre 19 mila campioni: il 70% di quelli della Regione Campania e un quinto di tutti i campioni italiani» riferisce il ricercatore. Un dato che rende il Tigem il singolo istituto che, in Italia, ha processato più campioni. «In tutto abbiamo identificato sul territorio regionale 156 varianti virali, comprese le varianti alfa, beta, gamma, delta e omicron». In particolare, il gruppo guidato da Cacchiarelli è stato il primo a identificare le varianti epsilon e omicron sul territorio nazionale. «Inoltre, abbiamo identificato e caratterizzato una nuova variante nata proprio in Campania, che rappresenta un sottotipo della variante spagnola, responsabile della seconda ondata di infezioni in Europa nel novembre 2020».

È vero che in Italia si fanno pochi sequenziamenti?

«Le linee guida internazionali indicano di sequenziare almeno il 5% dei positivi al virus di un paese per poter avere un quadro realistico della distribuzione e dell’evoluzione delle varianti. In Italia, la raccolta dei dati è affidata alle singole Regioni, che si sono organizzate in modi molto diversi. Negli ultimi mesi la situazione sta migliorando, ma al momento solo due Regioni sequenziano il 5% dei propri positivi: la Campania e l’Abruzzo» conclude Cacchiarelli.

È vero che i vaccini possono causare l’insorgenza di nuove varianti?

«No. Al contrario, i vaccini riducono la possibilità di trasmissione di nuove varianti, tanto è vero che le varianti più aggressive si sono sempre sviluppate in popolazioni non vaccinate. Pensiamo alla delta comparsa in India o alla omicron comparsa in Sudafrica, due Paesi in cui il tasso di vaccinazione era - ed è tuttora - molto basso».

Per spiegare meglio il concetto, Cacchiarelli ricorre a una metafora: «È come se il virus tirasse dei dadi ogni volta che si replica. Più gli si lascia la possibilità di tirare dadi (quindi di replicarsi), maggiore è la probabilità di ottenere nuove combinazioni di numeri (quindi nuove varianti, potenzialmente pericolose). I vaccini non fanno altro che togliere a possibilità di tirare dadi». Naturalmente, una volta che è stata impedita grazie ai vaccini la trasmissione delle varianti bisogna continuare a tenere alta l’attenzione ed evitare che il virus continui a circolare, perché se questo accade aumenta il rischio di insorgenza di varianti resistenti ai vaccini.

È vero che il virus diventerà sempre meno aggressivo?

Circola l’idea che le varianti più diffuse del Covid tenderanno a diventare con il tempo sempre meno aggressive e soprattutto sempre meno letali, perché non sarebbe vantaggioso per il virus eliminare il suo ospite. «Questa prospettiva però - spiega Cacchiarelli - avrebbe senso dal punto di vista biologico solo se il virus avesse una letalità molto alta, come per esempio nel caso di Ebola. Anche se in numeri assoluti sono moltissimi i decessi causati dal Covid (oltre 5,6 milioni nel mondo, 1,7 milioni in Europa e oltre 145 mila in Italia), in percentuale la letalità è bassa, pari a meno dell’1 per cento. Un virus che uccide meno di uno dei suoi ospiti ogni 100 non corre il rischio di estinguersi». Significa che per proteggerci dal virus non possiamo confidare in una sua presunta minore aggressività futuro. Dobbiamo farlo con gli strumenti che abbiamo oggi a disposizione, a partire dai vaccini.

La ricerca sulle malattie genetiche rare potrà beneficiare dell’attività sul Sars-CoV-2?

L’importantissimo lavoro svolto dal Tigem nel sequenziamento delle varianti Covid è frutto in primis delle competenze acquisite nella ricerca sulle malattie genetiche rare. Ma il favore potrà essere ricambiato: «Indubbiamente sì - risponde Cacchiarelli - perché il lavoro sul Covid ci ha permesso di imparare a lavorare in modo ancora più produttivo ed efficiente, anche grazie a nuove dotazioni e allo sviluppo di nuove procedure che potranno poi essere usate per la nostra missione, che è appunto lo studio delle malattie genetiche rare con l’obiettivo di riuscire a capirle meglio per trovare nuove cure».

Al Tigem, Cacchiarelli non è l’unico a lavorare sul Sars-CoV-2. Altri gruppi di ricerca, come quelli di Antonella de Matteis e di Mirko Cortese, sono impegnati a capire i meccanismi di infezione e replicazione del virus: una conoscenza fondamentale per poter sviluppare nuove terapie antivirali, ma che potrebbe aiutare a capire meglio anche le malattie genetiche rare. Perché molti dei meccanismi coinvolti nella biologia del virus sono gli stessi alterati in malattie genetiche. La ricerca non ha davvero confini.

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