Sono già tre le terapie specifiche disponibili per l'atrofia muscolare spinale (sma), in grado di modificare il decorso della malattia: un traguardo importante, ma c’è ancora da fare per raggiungere tutti i pazienti in modo efficace. E i ricercatori di Fondazione Telethon sono in prima linea.
Il primo farmaco in grado di cambiare la storia naturale dell' atrofia muscolare spinale (sma) è stato Nusinersen (Spinraza) , arrivato negli Stati Uniti nel 2016 e in Europa l'anno dopo. Il secondo è stato un farmaco di terapia genica, Zolgensma, arrivato in Italia nel marzo 2021. Il primo aprile scorso, infine, la Commissione Europea ha approvato un nuovo farmaco in grado di modificare il decorso della malattia, Risdiplam. Una successione di nuovi farmaci che testimoniano quanto sia feconda la rivoluzione terapeutica che sta riguardando i pazienti con questa grave malattia neuromuscolare.
L'ultimo arrivato: Risdiplam
Risdiplam (nome commerciale Evrysdi), prodotto da Roche in collaborazione con PTC Therapeutics e SMA Foundation, è il primo farmaco per la sma che può essere assunto per via orale, dunque anche a casa. È indicato per i pazienti di età superiore ai due mesi con diagnosi di sma di tipo 1, 2 o 3 e con la forma più comune della malattia (quella detta 5q). È un risultato molto importante per la comunità dei pazienti, sempre in attesa di avanzamenti che possano garantire opportunità terapeutiche a tutti.
La ricerca su questa malattia e su ulteriori approcci terapeutici, però, non si può né si deve fermare, come ci spiegano i ricercatori Claudio Sette e Gabriella Viero, entrambi tra i vincitori del bando 2020 di Fondazione Telethon con progetti dedicati alla sma.
I due geni sma
L’atrofia muscolare spinale è una malattia neuromuscolare causata da difetti del gene SMN1 che portano alla produzione di livelli insufficienti della proteina SMN, fondamentale per la sopravvivenza dei motoneuroni, le cellule responsabili del trasporto dei segnali nervosi dal cervello ai muscoli. Oltre al gene SMN1, però, ne possediamo anche uno molto simile chiamato SMN2, la cui sequenza di Dna differisce per un solo nucleotide (una sola “lettera”) da quella di SMN1. «Il risultato di questo piccolissimo cambiamento è una forma più corta e molto più instabile di SMN, per cui quantità e funzionalità complessive risultano ridotte rispetto alla proteina prodotta dal gene SMN1 normale» spiega Claudio Sette, professore di anatomia all’Università Cattolica di Roma. «Questa forma anomala compensa bene la mancanza di SMN durante la vita in utero, ma dopo la nascita la compensazione diventa carente. Da qui i sintomi della malattia, che possono essere di gravità diversa perché il gene SMN2, che si trova in una regione instabile del genoma, soggetta a duplicazioni, può essere presente in un numero variabile di copie. Maggiore è il numero di copie di SMN2, minore è la gravità della malattia.
Quando il bersaglio è SMN2: Nusinersen e Risdiplam
Per capire perché la proteina prodotta da SMN2 è più corta e meno funzionale di quella normale occorre dare un’occhiata alla struttura di questo gene e al modo in cui viene trascritto in Rna messaggero (mRna), la molecola che fa da tramite tra i geni e gli apparati cellulari deputati alla produzione delle proteine. Per arrivare alla molecola di mRna pronta per essere tradotta nella proteina corrispondente servono una serie di passaggi che cuciono insieme alcune regioni della molecola stessa chiamate esoni, eliminando altre regioni (introni) che si inframmezzano tra queste. Ora, quella sola “lettera” differente tra SMN2 e SMN1 fa sì che durante questo processo di eliminazioni e cuciture - detto splicing - uno degli esoni di SMN2 venga escluso dalla sequenza finale dell’RNA messaggero.
Da qui la proteina più corta, ma anche l’idea di sviluppare terapie in grado di agire su SMN2 per arrivare a una proteina più lunga, stabile e funzionale. È esattamente quello che fa Nusinersen, il primo farmaco in grado di modificare la storia naturale della sma, autorizzato negli Stati Uniti nel 2016 e in Europa nel 2017. Nusinersen è una piccola molecola di acido nucleico sintetizzata in laboratorio (gli esperti parlano di oligonucleotide antisenso) in grado di alterare il meccanismo di splicing dell’Rna messaggero di SMN2, portando alla produzione, nel sistema nervoso centrale, di una proteina con un buon grado di funzionalità.
Anche il neoapprovato Risdiplam (una piccola molecola) agisce sullo stesso meccanismo. Il particolare entusiasmo riposto in questo nuovo farmaco dipende dal fatto che può essere somministrato per via orale, mentre per Nusinersen la somministrazione è intratecale, cioè direttamente nel liquido che bagna il sistema nervoso centrale: una pratica invasiva che può essere effettuata solo in ospedale. Inoltre, il farmaco agisce non solo sul sistema nervoso centrale ma in tutto l’organismo.
Dopo l’approvazione da parte della Commissione europea, i passaggi successivi verso la commercializzazione spettano agli enti regolatori dei singoli stati (l’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, per l’Italia). E intanto la Roche ha avviato in diversi paesi - compreso il nostro, con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma - un nuovo studio clinico per valutare sicurezza ed efficacia di Risdiplam in bambini pre-sintomatici fino a sei settimane di vita.
La terapia genica per la sma
Un’altra pietra miliare nella terapia della sma è stata l’approvazione di Zolgensma, terapia genica per pazienti affetti da sma di tipo 1 fino a 13,5 kg (corrispondenti a bambini di circa 3 anni d’età) e pazienti pre-sintomatici con 2 copie del gene SMN2. Il farmaco contiene un vettore virale (un adenovirus) veicolante una copia funzionante del gene SMN1. Zolgensma è somministrato, previo trattamento con farmaci corticosteroidi per ridurre il rischio di effetti indesiderati, mediante singola infusione venosa (una flebo) nell’arco di circa 1 ora. Una volta iniettato, passa nei nervi, fornendo il gene corretto necessario per produrre una quantità sufficiente della proteina e ristabilendo quindi la funzione nervosa. Si somministra una sola volta nella vita del paziente.
Perché la ricerca non si ferma
Per quanto queste terapie siano davvero rivoluzionarie, nel senso che hanno aperto a molti pazienti prospettive impensabili fino a pochissimi anni fa, non possono tuttavia essere considerate risolutive. «L’effetto straordinario è che possono permettere la sopravvivenza dei pazienti con le forme più gravi oltre i primissimi anni di vita, con enormi miglioramenti motori, ma non portano a un recupero totale delle funzionalità motorie» afferma Sette. «Anche le forme intermedie, che ne beneficiano di più, hanno ancora margini di miglioramento». Inoltre, non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo: alcuni rispondono meglio, altri addirittura non rispondono proprio, e non si sa da cosa dipendano queste differenze.
«Ciascuna delle tre terapie approvate ha poi limiti specifici» aggiunge Gabriella Viero, ricercatrice dell’Istituto di Biofisica del Cnr di Trento. «I limiti di Nusinersen, per esempio, sono i costi molto elevati e la modalità di somministrazione molto invasiva. Zolgensma ha mostrato in alcune sperimentazione cliniche alcuni problemi di tolleranza, che hanno raffreddato un po’ gli entusiasmi rispetto a questo approccio. Risdiplam, che ha effetti sistemici (e questo è un bene, perché negli anni si è capito che, per quanto colpisca in modo preferenziale i motoneuroni, la sma interessa anche altri tessuti e organi), potrebbe avere anche più effetti collaterali».
Infine, bisogna considerare che sono terapie giovani. «Non sappiamo con certezza quanto i miglioramenti osservati saranno stabili nel tempo, cosa succederà ai pazienti quando diventeranno adulti, quali potrebbero essere gli effetti collaterali a lungo termine delle terapie se queste provocassero un aumento eccessivo di SMN nel sistema nervoso centrale o in altri tessuti e se in questo caso potrebbero essere utili altre terapie di supporto», dichiara Viero. «Senza dimenticare che queste nuove terapie sono pensate principalmente per piccoli pazienti che hanno appena ricevuto la diagnosi, mentre non sempre riescono a essere d’aiuto per i giovani adulti o gli adulti». Tante, tantissime ragioni per continuare con la ricerca.
Il progetto di Gabriella Viero sul coinvolgimento di SMN
Per quanto possa apparire sorprendente, una delle domande per le quali non abbiamo ancora una risposta definitiva è quale sia effettivamente il ruolo di SMN. O meglio: si sa che è una proteina con tante funzioni, coinvolta primariamente nel metabolismo dell’Rna, nella riparazione di alcuni difetti del Dna, nelle dinamiche del citoscheletro, l’impalcatura proteica che dà sostegno e struttura alle cellule. «Nessuna delle funzioni meglio descritte finora, però, riesce a spiegare in che modo la carenza di SMN provochi lo sviluppo della malattia e i sintomi con i quali si manifesta» afferma Viero. Che con un progetto di ricerca finanziato da Fondazione Telethon cerca appunto di capire quale sia la funzione di SMN che può spiegare l’origine della sma.
«La nostra ipotesi è che c’entri un coinvolgimento di SMN nel processo di produzione delle proteine. In effetti, abbiamo scoperto di recente che SMN agisce anche in questo ambito promuovendo - attraverso il legame con l’apparato cellulare deputato alla sintesi proteica - l’avvio alla traduzione in proteine di una popolazione specifica di Rna messaggeri. Come abbiamo spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Cell Biology”, se SMN non c’è, anche la produzione delle proteine codificate da questi Rna messaggeri viene a mancare. Ora stiamo cercando di capire se è proprio la mancanza di queste proteine a produrre i difetti che portano alla sma». Se così fosse, si aprirebbero scenari del tutto nuovi per lo sviluppo di altre terapie, magari di supporto a quelle esistenti o utili per i pazienti non trattabili con queste ultime.
Il progetto di Claudio Sette: l’importanza dei piccoli Rna circolari
Proprio perché nessuna delle terapie approvate finora è veramente risolutiva, più ce ne sono e meglio è: non sono mai troppe le strade da esplorare per arrivare a nuovi risultati. Con più terapie a disposizione, però, è anche importante poter indirizzare ogni singolo paziente alla terapia migliore per lui, quella alla quale potrebbe rispondere meglio, applicando una vera medicina personalizzata. Ed è proprio questo uno dei numerosi obiettivi del progetto di ricerca di Claudio Sette che è stato tra i vincitori dell’ultimo bando generale di Fondazione Telethon.
«Quello che stiamo cercando di fare è identificare biomarcatori che siano in grado di predire la risposta dei singoli pazienti alla terapia, per aiutare i medici a stabilire se è opportuno o meno somministrare una certa terapia e, in generale, quale preferire» spiega Sette. Che specifica: «Per ora lavoriamo in particolare sulla risposta al Nusinersen (la terapia approvata per prima, rispetto alla quale sono disponibili più dati), ma in seguito allargheremo lo studio anche alle altre». C’è già un importante punto di partenza del lavoro, frutto dei risultati di un altro progetto finanziato sempre dalla Fondazione. «Avevamo scoperto che, oltre a produrre il loro Rna messaggero, i due geni SMN danno anche origine ad altre molecole di Rna con una struttura molto particolare e cioè non lineari (come l’Rna messaggero) ma circolari e, di conseguenza, più stabili». Questi Rna circolari hanno in genere una funzione di regolazione dell’attività di altri geni e l’ipotesi di Sette e collaboratori è che possano fungere da biomarcatori.
«Ne abbiamo identificati due - racconta il ricercatore - che sembrano avere un buon valore prognostico. Uno sembra più abbondante nei pazienti che rispondono alla terapia con Nusinersen, l’altro più abbondante in quelli che non rispondono». Ora si tratta di verificarne l’effettiva validità come biomarcatori misurandone i livelli nel sangue (e in altri tessuti) sia di pazienti già sintomatici che stanno facendo la terapia, sia in piccoli pazienti ancora asintomatici identificati grazie al programma di screening neonatale per la sma che è stato attivato in alcune regioni. «In più, cercheremo di capire che cosa fanno esattamente questi Rna circolari e se possono essere coinvolti nell’insorgenza della malattia e nel fatto che questa colpisce in modo prevalente i motoneuroni».
Non è finita. Nel corso del 2020 il gruppo di ricerca di Claudio Sette ha osservato in un modello cellulare di sma che l’aggiunta al trattamento con Nusinersen di un altro farmaco, un regolatore della trascrizione già approvato per altre malattie, ne migliorava l’efficacia. «Ora valuteremo l’effetto di questa combinazione anche in un modello animale, un passaggio necessario per poter arrivare, se tutto andrà bene, all’uso clinico».