L’Istituto San Raffaele Telethon di Milano lavora su un protocollo di terapia genica per l’MPS 1H o sindrome di Hurler, tra le forme più gravi.

Alessandro Aiuti

Il 15 maggio ricorre in tutto il mondo la giornata mondiale delle mucopolisaccaridosi, gravi malattie genetiche caratterizzate da specifiche carenze enzimatiche che si traducono nell’accumulo di diversi metaboliti, i mucopolisaccaridi.

Tra le forme più gravi c’è la 1H, o sindrome di Hurler, su cui i ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano (SR-Tiget) stanno provando a mettere a punto la terapia genica potenzialmente in grado di cambiarne la storia naturale. La sindrome esordisce entro i 2 anni di età: attualmente la terapia standard è il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche (da midollo osseo o da sangue del cordone ombelicale di un donatore sano), purché effettuato precocemente. Il trapianto è in grado di stabilizzare la progressione della malattia, ma è solo parzialmente efficace a livello di deformità ossee e deficit cognitivo. La terapia enzimatica sostitutiva, ovvero l’infusione settimanale dell’enzima carente, è approvata sul mercato e viene abitualmente impiegata “a ponte” fino al trapianto allogenico. Questa terapia è in grado di migliorare la funzionalità cardiaca e l’organomegalia, ma non i problemi neurologici e ortopedici tipici della malattia: viene quindi impiegata a lungo termine soltanto nelle forme meno gravi. 

La terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’SR-Tiget potrebbe quindi rappresentare un’opportunità terapeutica innanzitutto per i pazienti privi di un donatore compatibile, ma in prospettiva anche per tutti gli altri nel caso si dimostrasse più sicura e più efficace rispetto al trapianto allogenico. Il protocollo terapeutico è simile a quello già impiegato dai ricercatori Telethon per il trattamento di altre malattie genetiche rare (come la leucodistrofia metacromatica, la sindrome di Wiskott-Aldrich e la beta talassemia): dal midollo o dal sangue periferico del paziente vengono prelevate le cellule staminali ematopoietiche, messe poi a contatto con un vettore virale derivato da Hiv che contiene una o più copie del gene sano. Nel frattempo il paziente viene sottoposto a chemioterapia per “far posto” alle cellule corrette, che gli vengono poi restituite tramite un’infusione nel sangue: una volta entrate in circolo raggiungono il midollo osseo, si differenziano distribuendosi in tutti gli organi e cominciano a produrre la proteina corretta in quantità di gran lunga superiore a quello che farebbe una cellula di un donatore sano. Rispetto alle cellule di un donatore, infatti, quelle corrette con la terapia genica sono potenzialmente più efficaci, oltre che più sicure visto che il loro utilizzo non si associa alla comparsa di malattia del trapianto contro l’ospite. Uno degli aspetti più innovativi è la crio-conservazione delle cellule, ovvero il congelamento subito dopo la correzione con il vettore. Questo offrirà notevoli vantaggi ai pazienti: non sarà più strettamente necessario farli venire sempre a Milano da ogni parte del mondo, perché saranno invece le loro cellule corrette a essere spedite; inoltre, in questo modo si può controllare preventivamente la qualità delle cellule corrette con la terapia genica prima di iniziare la chemioterapia preparatoria, evitando così un trattamento invasivo e inutile nel caso le cellule non fossero di qualità soddisfacente. 

Questo studio clinico, coordinato dal vicedirettore dell’SR-Tiget Alessandro Aiuti insieme a Maria Ester Bernardo e Bernhard Gentner, è stato avviato nel 2018. I principali criteri di inclusione, oltre a una diagnosi accertata di MPS 1H, sono l’assenza di un donatore di cellule staminali emopoietiche compatibile e la presenza di uno stadio precoce della malattia, che non abbia ancora portato a una significativa compromissione cognitiva. Questo perché, nella storia naturale della malattia, la comparsa di questa sintomatologia è indice di uno stadio in cui il danno è già troppo avanzato anche a livello sistemico ed è probabile che la terapia genica non sia in grado di arrestarlo (come è già stato verificato anche con il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche per l’MPS 1H e come avviene anche nel caso della leucodistrofia metacromatica). Da qui l’importanza della diagnosi precoce, che potrebbe essere favorita se anche la MPS 1 fosse inserita sistematicamente nell’elenco delle malattie oggetto dello screening neonatale esteso: attualmente infatti solo alcune regioni (Veneto, Toscana e Umbria) l’hanno inclusa nell’ambito di studi pilota, ma l’auspicio è che presto questa opportunità possa essere allargata a tutte le Regioni italiane sulla scia della legge del 2016.  Ad oggi sono 8 i pazienti trattati con terapia genica ex-vivo: tutti hanno avuto un decorso post-terapia genica favorevole senza tossicità maggiori e con attecchimento precoce delle cellule corrette. Inoltre tutti i pazienti hanno mostrato livelli di enzima IDUA post-terapia genica al di sopra del limite superiore di normalità dei donatori sani e riduzione dei glucosaminoglicani, i cataboliti tossici generati in assenza di IDUA, nelle urine con correzione metabolica. È necessario trattare un numero maggiore di pazienti e osservarli nel tempo per un follow-up più lungo per poter trarre conclusioni definitive sull’efficacia della terapia genica a confronto con il trapianto allogenico.
Nella primavera del 2019 la biotech Orchard Therapeutics ha acquisito la licenza per sviluppare la terapia genica ex-vivo per l’MPS1H nelle fasi successive fino alla sua registrazione e immissione sul mercato.

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