Fibrosi cistica: grazie alla ricerca si può diventare grandi

I ricercatori Telethon Luis Galietta e Alessandra Ghigo fanno il punto sui progressi della ricerca sulla malattia che toglie il respiro e sui loro progetti in corso.

«Quando la fibrosi cistica venne ufficialmente descritta per la prima volta, tra gli anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso, l’aspettativa di vita dei pazienti andava di poco oltre l’infanzia, intorno ai 20 anni. Negli ultimi vent’anni circa, però, qualità e prospettive di vita sono migliorate in modo sensibile, con un’aspettativa di sopravvivenza che oggi arriva a superare i 40 anni. Merito dei progressi nei trattamenti dei sintomi della malattia, mentre dalla rivoluzione dei farmaci molecolari, a partire dal 2012, ci si aspetta una svolta davvero epocale. La prospettiva, infatti, è trasformare la fibrosi cistica da malattia letale a malattia cronica gestibile per tutto il corso della vita».

«L’aspettativa di sopravvivenza per i pazienti con fibrosi cistica oggi arriva a superare i 40 anni, mentre prima si fermava ai 20».

Alessandra Ghigo, ricercatrice Telethon

La traiettoria sulle prospettive di ricerca per la fibrosi cistica tracciata da Alessandra Ghigo, professoressa di biologia applicata all’Università di Torino e ricercatrice Telethon, è decisamente carica di speranza. «Sono profondamente convinta che stiamo vivendo anni di svolta e altrettanto grata di poter contribuire con il mio lavoro di ricercatrice. È un’emozione incredibile ascoltare pazienti che raccontano di essere usciti dalla lista d’attesa per il trapianto di polmone dopo aver cominciato l’assunzione dei nuovi farmaci molecolari».

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Il gene responsabile

Sono proprio questi farmaci i responsabili di tanto entusiasmo, quelli che stanno permettendo a sempre più pazienti di volgere lo sguardo al futuro e progettare di “andare lontano”. «La fibrosi cistica – spiega Ghigo – è una malattia molto studiata ma anche molto complessa». Per questo è da sempre nel mirino di Fondazione Telethon, che ha finora finanziato 28 progetti di ricerca sulla malattia, per un totale di oltre 5 milioni di euro.

28 progetti di ricerca
5.000.000 investimento in ricerca

A causarla sono mutazioni del gene CFTR, che si traducono nel malfunzionamento della proteina corrispondente. È una proteina che si trova normalmente sulla membrana cellulare, dove regola il trasporto di ioni tra l’interno e l’esterno della cellula. A seguito delle mutazioni del gene CFTR, però, la proteina non si trova più dove dovrebbe o non regola più questo trasporto in modo ottimale. Come risultato, alcune secrezioni dell’organismo, in particolare muco bronchiale e succo pancreatico, diventano molto più dense del normale, provocando danni progressivi all’apparato respiratorio e a quello digestivo (ma possono essere coinvolti altri apparati). «L'accumulo di muco, inoltre, favorisce la colonizzazione in particolare dell'epitelio respiratorio da parte di batteri», spiega Luis Galietta, responsabile di un gruppo di ricerca dedicato proprio alla fibrosi cistica presso l'Istituto Telethon di Genetica e Medicina (TIGEM) di Pozzuoli.

«I pazienti con fibrosi cistica sono soggetti a infezioni ricorrenti e potenzialmente pericolose».

Luis Galietta, ricercatore Tigem

I primi farmaci specifici

Per molto tempo gli unici interventi possibili per i pazienti con fibrosi cistica sono stati quelli sui sintomi o relativi alla prevenzione delle infezioni: rimozione del muco dai bronchi mediante fisioterapia, riabilitazione respiratoria e aerosol, somministrazione di antibiotici per le infezioni, somministrazione di vitamine ed enzimi pancreatici in caso di insufficienza del pancreas. Fino ad arrivare al trapianto di polmoni nei casi di malattia polmonare molto avanzata.

Le tappe del cambiamento

  • Le cose, però, hanno cominciato a cambiare nel 2012, con l’approvazione del primo farmaco specifico per il difetto molecolare responsabile della malattia, l’ivacaftor. Si tratta di un cosiddetto correttore, una molecola in grado di stabilizzare la proteina mutata, permettendole di recuperare la propria funzione. Il farmaco, però, funziona solo in una piccola percentuale di pazienti (4-5%), portatori di alcune specifiche mutazioni del gene.
  • Nel 2015 e nel 2018 segue l’approvazione rispettivamente di due nuove combinazioni di due correttori (o modulatori) differenti: lumacaftor più ivacaftor (Orkambi) e tezacaftor più ivacaftor (Symdeko). Entrambi agiscono, seppur con efficacia limitata, nel 70-90% dei pazienti, quelli portatori della mutazione più diffusa (F508del).
  • Ma la svolta ancora più significativa arriva nel 2019, con l’approvazione negli Usa di un nuovo modulatore che, combinando tre diversi principi attivi, risulta fino a 3 volte più efficace delle combinazioni precedenti. Il farmaco (Kaftrio: iavacaftor/elexacaftor/tezacaftor) è disponibile anche in Italia e a fine giugno scorso l’Agenzia italiana del farmaco ne ha annunciato la totale rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale.

«Sono convinta che stiamo vivendo anni di svolta nella ricerca sulla fibrosi cistica e molto grata di poter contribuire con il mio lavoro»

Alessandra Ghigo, ricercatrice Fondazione Telethon

La ricerca non si può fermare. Mai.

Ottime notizie, certo, ma la rivoluzione in corso non è ancora conclusa. «C’è ancora una parte di pazienti che non risponde alle terapie molecolari disponibili e che in Italia si stima intorno al 30%. Circa un paziente su tre» precisa Ghigo. «Inoltre, in alcuni casi l’efficacia di questi farmaci non è ancora elevata come vorremmo».

Ragioni sufficienti per continuare a lavorare sulla fibrosi cistica. Proprio come fa il gruppo di Alessandra Ghigo con un progetto finanziato a inizio 2021 da Fondazione Telethon.

Il progetto di Alessandra Ghigo: dal cuore al polmone

Come spesso accade nella scienza si tratta di un progetto partito da lontano, sia nel tempo sia rispetto al contesto, all’inizio del tutto differente.

Alessandra Ghigo, ricercatrice che si occupa di fibrosi cistica

«Da più di dieci anni il mio laboratorio si occupava di ricerca di base sui segnali usati dalle cellule per comunicare tra di loro» racconta Ghigo. «Avevamo individuato un enzima (chiamato PI3Kγ) fondamentale nel cuore per mantenere bassi i livelli di una molecola coinvolta nella contrattilità del cuore stesso (cAMP). Se questo enzima funziona male, i livelli di cAMP aumentano e questo può causare scompenso cardiaco». Dagli studi sul cuore a quelli sul polmone il passaggio è stato relativamente veloce. «Se in ambito cardiaco avere livelli elevati di cAMP può essere un problema, in ambito polmonare può invece essere un vantaggio perché comporta rilassamento delle vie aeree: un effetto desiderato per esempio nel caso di asma. Per questo abbiamo cominciato a studiare il nostro enzima PI3Kγ anche nel polmone, accorgendoci che sembrava modulare anche l’attività di CFTR».

Il passo successivo è stato sviluppare una molecola in grado di bloccare l’enzima e quindi aumentare i livelli di cAMP: di fatto si tratta di un frammento (un peptide) derivato dall’enzima stesso. Ben presto, Ghigo e colleghi hanno scoperto che il peptide “inibitore” dell’enzima sembra aumentare l’efficacia dei modulatori di CFTR esistenti.

«Di recente abbiamo avviato una startup proprio per promuovere lo sviluppo come farmaco di questo peptide: ora stiamo conducendo test preclinici di sicurezza e tollerabilità e speriamo sia possibile avviare una sperimentazione clinica in combinazione con i modulatori di CFTR già l’anno prossimo». Già questa è un’ottima notizia, ma i ricercatori vogliono anche capire se, in alcuni dei pazienti che non sono sensibili a questi farmaci, il peptide da solo possa avere un ruolo terapeutico. «È l’obiettivo specifico del nostro progetto Telethon» sottolinea Ghigo. «Pensiamo che il peptide possa essere utile per pazienti con alcuni difetti specifici della proteina CFTR e vorremmo anche capire meglio quale potrebbe essere il suo meccanismo d’azione. Per riuscirci abbiamo avviato collaborazioni con altri Istituti di ricerca e associazioni di pazienti che ci forniranno il materiale biologico da cui derivare le linee cellulari nelle quali studiare l’efficacia del nostro peptide. Ricordo infatti che non è disponibile un modello animale efficace di fibrosi cistica, per cui abbiamo bisogno delle cellule dei pazienti per condurre la nostra ricerca».

I progetti di Luis Galietta al Tigem

Luis Galietta, professore di genetica medica all’Università degli Studi di Napoli, è al TIGEM dal 2016, ma si occupa da sempre di fibrosi cistica. Oggi le linee di ricerca principali del suo gruppo sono tre, tutte mirate all’identificazione di nuovi possibili farmaci.

Luis Galietta, ricercatore Tigem
Luis Galietta

Non solo CFTR

«Il progetto al quale lavoriamo da più tempo, anche con il contributo della Cystic Fibrosis Foundation (fondazione americana fibrosi cistica), riguarda l’identificazione di altre proteine che, oltre a CFTR, sono coinvolte nella funzionalità dell’epitelio di rivestimento delle vie aeree. Si tratta del tessuto che riveste le vie respiratorie e che le protegge da tutto quello con cui possono entrare in contatto attraverso l’aria inspirata (batteri, virus, particelle estranee) grazie a vari sistemi tra i quali la produzione di muco e il battito delle ciglia, piccolissime protrusioni presenti sulla superficie delle cellule e in continuo movimento».

L’ipotesi di Galietta, infatti, è che anche altre proteine potrebbero contribuire a dare origine ai sintomi della fibrosi cistica in conseguenza dello squilibrio cellulare che si crea per via della mutazione di CFTR. Queste proteine potrebbero dunque diventare bersaglio di nuove terapie, che punterebbero a migliorare le condizioni dei pazienti pur senza agire direttamente sulla proteina mutata e che potrebbero essere utilizzati per i pazienti che non beneficiano delle altre terapie disponibili.

«Stiamo per esempio lavorando su una proteina chiamata ATP12A, deputata al trasporto di acidi sulla superficie degli epiteli e che pensiamo possa avere un ruolo deleterio nei pazienti con fibrosi cistica. Per questo stiamo cercando da un lato di capire meglio quale sia la sua funzione fisiologica e, dall’altro, di individuare inibitori che potrebbero attenuare questo ruolo deleterio».

Alla ricerca di altri correttori

Un altro progetto - svolto in collaborazione con Paola Barraja, professoressa di chimica farmaceutica all’Università di Palermo e di recente finanziato anche dalla Fondazione italiana per la fibrosi cistica -, riguarda l’identificazione e caratterizzazione di una nuova possibile classe di correttori molecolari della proteina CFTR mutata.

Infine, Galietta sta lavorando all’identificazione di nuove strategie terapeutiche per pazienti con un tipo particolare di mutazioni del gene CFTR, che comportano la produzione di una proteina tronca, cioè non completa. “Stiamo cercando di aggirare l’ostacolo con combinazioni differenti di composti che potrebbero promuovere la sintesi della proteina completa oppure portare a un aumento della quantità complessiva di proteina tronca: una condizione che potrebbe avere conseguenze positive anche se la proteina non è completa. Stiamo ottenendo risultati interessanti, ma è presto per cantare vittoria”. La ricerca continua perché per tanti bambini crescere non è scontato. Dona ora >

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