#AndràTuttoBene: l’emergenza Covid vissuta dallo staff di “Come a casa”

Il gruppo si prende cura a distanza delle famiglie dei bambini seguiti dall’unità clinica dell’SR-Tiget: «Noi siamo qui, disponibili ad ascoltarvi, per accogliere ogni vostro dubbio, pensiero, preoccupazione».

«Sappiamo che in questo momento così delicato si vivono molte emozioni: alcuni potrebbero sentirsi impotenti, frustrati oltre che spaventati e disorientati. È un periodo davvero difficile per tutti ma voi avete superato tante situazioni complesse e siamo certe che riuscirete a superare anche questo momento. Così come vi abbiamo affiancato nei mesi in cui siete stati qui a Milano, oggi ancor di più vorremmo esservi vicine: noi siamo qui, disponibili ad ascoltarvi, per accogliere ogni vostro dubbio, pensiero, preoccupazione. Potete scriverci o chiamarci, per esservi di supporto anche se distanti». Con questo messaggio tradotto in diverse lingue Francesca Ciotti e Maddalena Fraschini hanno voluto trasmettere la propria vicinanza a tutte le famiglie di quei bambini che in questi anni sono arrivati a Milano da tutto il mondo per ricevere la terapia genica, un trattamento innovativo messo a punto nei laboratori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano in grado di cambiare la storia naturale della loro grave malattia genetica. Psicologhe, fanno parte dello staff di “Come a casa”, un programma nato per offrire un supporto a 360 gradi a genitori e piccoli pazienti che devono trascorrere diversi mesi in Italia per affrontare un percorso di cura complesso, che richiede anche un lungo periodo di isolamento.

«Al momento ci sono dieci famiglie a Milano di pazienti appena trattati o in attesa di trattamento provenienti da diversi Paesi, come Turchia, Argentina, Germania, Iran, Russia, Usa, Olanda» spiega Margherita Levi, coordinatrice del programma. «In questa fase di emergenza - continua - in cui l’Ospedale San Raffaele è impegnato in prima linea per la gestione dei pazienti Covid, sono stati rimandati tutti i controlli periodici e gli interventi non urgenti, così come tutte le attività “ricreative” che normalmente offriamo, come i corsi di lingua o la musicoterapia. A parte gli infermieri e i clinici, molte persone del nostro staff come psicologi e mediatori culturali stanno lavorando da casa. Molte famiglie hanno dovuto prolungare la loro permanenza in Italia perché in questo momento viaggiare è molto complicato, se non addirittura impossibile. Proprio nei giorni in cui la situazione in Lombardia è precipitata abbiamo dovuto organizzare un trasporto in auto da Milano a Bilbao per far rientrare a casa un paziente che era venuto per un controllo, munito di autocertificazione in quattro lingue diverse: una vera peripezia, ma non c’era altro modo visto che treni e aerei erano stati tutti cancellati».

Nel corso degli anni con le famiglie dei pazienti trattati si è creato un legame intenso, la cui forza sta emergendo anche in queste circostanze, come racconta Francesca Ciotti: «Siamo in contatto costante e per quanto una chiamata Skype non sarà mai come un colloquio di persona ci arriva ugualmente tutta la complessità del loro vissuto. Ci sono mamme segnate per sempre dalla paura del contagio, anche una volta che la terapia genica ha risolto l’immunodeficienza del loro figlio: confessano di essere ossessionate dalla pulizia della casa, hanno le mani rovinate dai detergenti e non mandano i figli a scuola o all’asilo quando sanno che sta girando l’influenza. Altri genitori sentono invece che per loro è cambiato molto poco, sono abituati da sempre all’isolamento per proteggere il loro bambino: in un certo senso è come se adesso il mondo si stesse adattando al loro ritmo di vita. Qualcuno prova anche rabbia di fronte a chi mostra insofferenza dopo solo un mese di vita “reclusa”, inconsapevole di chi deve attenervisi da sempre. Poi ci sono le famiglie qui a Milano, che non possono rientrare a casa e si chiedono che situazione, politica e familiare, troveranno al loro rientro, o addirittura mamme che in piena emergenza e con un figlio sottoposto alla terapia genica hanno nel frattempo partorito un altro figlio, a dimostrazione che la vita va avanti. A tutte queste persone cerco di offrire ascolto e confesso che qualche volta provo un senso di frustrazione perché vorrei poter fare di più, essere più presente. Ma sento anche che vissuti apparentemente negativi come questi sono un’occasione di introspezione, un’occasione per conoscersi meglio e trovare nuove risorse interiori da spendere in futuro».

Anche Maddalena Fraschini sottolinea come le necessarie misure di sicurezza stiano mettendo a dura prova il suo lavoro. «È difficile entrare in relazione con una famiglia mai vista prima via Skype, oppure bardata dalla testa ai piedi dai dispositivi di protezione individuali. Oltre che del supporto psicologico durante il percorso di cura ci occupiamo infatti anche della valutazione cognitiva dei pazienti, che insieme ad altri esami strumentali e clinici consente di stabilire se la malattia è in una fase ancora abbastanza precoce per poter intervenire efficacemente con la terapia genica nel caso di malattie come la leucodistrofia metacromatica o la mucopolisaccaridosi di tipo 1 in cui è presente anche un decadimento cognitivo. Peraltro, nel caso di bambini piccoli ci basiamo soprattutto sul gioco e non è facile interagire a distanza, senza toccarli e con il viso nascosto dalla mascherina, ma la sicurezza viene prima di tutto e ci siamo adattate. Questi genitori hanno poi risorse incredibili: per loro la quarantena è la normalità, hanno saputo inventarsi innumerevoli modi per giocare con i loro figli in lunghi periodi di isolamento, anche in una camera sterile di ospedale. E proprio il loro vissuto così duro li ha resi profondamente solidali non solo con le altre famiglie che condividono la loro esperienza, ma anche con noi dello staff clinico e con l’umanità in generale: può sembrare paradossale, ma ci scrivono e ci chiamano continuamente per sapere se noi stiamo bene, per dirci che ci pensano e pregano perché la situazione si risolva. Loro, che in alcuni casi hanno perso dei figli per una malattia genetica, o che sono tornati a vivere nel loro paese dove c’è un’emergenza sanitaria costante, non solo Covid. Sono messaggi di una forza straordinaria, di cui fare tesoro per sempre».

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