Una ricercatrice e un ragazzo con la Duchenne. Telethon li ha fatti incontrare e la loro storia è cambiata.

Irene Bozzoni e Gerardo al tempo del loro incontro nel 2011

Ci sono incontri fondamentali nella vita, incontri che nel giro di pochi minuti possono portare a cambiamenti importanti. Proprio come è successo nel 2011 a Gerardo, un ragazzino di 14 anni con la distrofia di Duchenne, sua mamma Cinzia e Irene Bozzoni, professoressa di biologia molecolare a “La Sapienza” di Roma, da anni impegnata nella ricerca sulle basi molecolari della malattia.

L’occasione è stata la partecipazione dei tre al programma Rai Unomattina, nel corso della maratona televisiva Telethon di quell’anno. Dietro le quinte Bozzoni aveva chiesto a Cinzia quale fosse la mutazione del figlio e alla risposta - “delta 44” - non era riuscita a trattenere un moto di sorpresa. «A quell’età - spiega - i ragazzi con quella mutazione sono sulla sedia a rotelle già da un po’, mentre Gerardo camminava. Non sembrava neppure malato, tanto che avevo domandato alla mamma se fossero davvero sicuri della diagnosi».

Una condizione anomala

In effetti non c’erano dubbi: il gene per la distrofina di Gerardo aveva proprio quella mutazione che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto impedire la produzione di quantità anche minime di distrofina stessa e portare a manifestazioni importanti della malattia già nei primi 10-12 anni di vita. Però i conti non tornavano, perché a 14 anni quelle manifestazioni   Gerardo non le aveva ancora. Certo, fin da quando era piccolo si era visto che qualcosa non andava: non camminava bene, non riusciva a correre o ad andare in bicicletta, ma a differenza dei coetanei con la malattia, crescendo aveva mantenuto una maggiore autonomia. Anche oggi, a 21 anni, pur preferendo la carrozzina per i suoi spostamenti riesce con qualche aiuto a stare in piedi e a muovere alcuni passi, e soprattutto non ha sintomi respiratori o cardiaci.

La sua vita è condizionata dalla malattia, ma anche molto ricca e proiettata al futuro: Gerry, come lo chiamano in casa, ha molti amici, è la mascotte di una squadra locale di basket e frequenta una facoltà di giurisprudenza. «Mi piaceva anche la matematica - racconta - ma ho pensato che con questi studi potrei avere più opportunità di lavoro».

Mamma Cinzia è da subito consapevole delle anomalie della distrofia di Gerardo, al punto da arrivare a opporsi, nei primi anni dopo la diagnosi, a un intervento chirurgico, che viene in genere proposto ai bambini con la malattia ma che, nel caso di suo figlio, le sembra eccessivo. Eppure questa consapevolezza non la rasserena. «Avrei dovuto essere contenta del fatto che stava meglio di quanto avrebbe dovuto, ma non sapere che cosa stava accadendo e che cosa aspettarci per il futuro mi spiazzava, generando un’angoscia profonda». Un’angoscia e un’ansia di conoscenza che non trovano risposta nell’atteggiamento dei medici che a Napoli seguono il bambino (la famiglia vive ad Avellino ndr) e che si limitano a consigliarle di accontentarsi delle sue buone condizioni.

I dettagli di una condizione speciale

Con quell’incontro dietro le quinte della maratona tv, però, tutto cambia. «Irene Bozzoni ha capito subito che Gerardo è speciale» ricorda Cinzia. «Quando mi ha chiesto la possibilità di studiare meglio il suo caso ho acconsentito, anche nella speranza che potesse dirci qualcosa di più sui possibili sviluppi della sua malattia».

In realtà questo interrogativo è (ancora) senza risposta, ma di sicuro in questi anni il gruppo di ricerca della professoressa ha capito molte cose sulla particolare condizione del ragazzo. Per esempio, che nonostante la mutazione genetica presente, i muscoli di Gerardo riescono comunque a produrre una piccola quantità di distrofina, il che ha fatto la differenza nell’evoluzione della sua malattia. Poi che questo accade perché le cellule del ragazzo mettono spontaneamente in atto un particolare meccanismo molecolare che permette di bypassare l’errore genetico e che, guarda caso, è proprio lo stesso meccanismo che il gruppo di Bozzoni aveva ricreato, con successo, in un modello animale della malattia. Infine, che a favorire questo meccanismo è l’assenza di un’altra proteina, chiamata CELF2a, di cui è priva anche la mamma.

Ora Bozzoni e il suo gruppo sta cercando di capire meglio perché questa proteina manchi in Cinzia e Gerardo, ma soprattutto se esistano molecole capaci di inibirla quando è presente: molecole che potrebbero un domani diventare una terapia per altri bambini con lo stesso tipo di mutazione.«Grazie a questa linea di ricerca continuiamo a scoprire nuovi dettagli sui meccanismi alla base della miogenesi, la formazione dei muscoli», dichiara la ricercatrice.

Aiutare la fortuna

Al di là dei risultati scientifici, per Cinzia e Gerardo, Irene è stata anche un’importante presenza empatica. «Molti aspetti della malattia di Gerry rimangono un’incognita - afferma la mamma - ma anche grazie al suo interessamento, alla sua disponibilità, ai risultati del suo lavoro, ora riesco a essere un po’ più serena, e finalmente felice del fatto che lui stia ancora bene».

Da parte sua Gerry ha accettato di buon grado il fatto di essere diventato un soggetto da studiare. «A volte attraverso qualche momento di dubbio o di insicurezza, ma so che è la cosa giusta da fare, per me ma soprattutto per gli altri». D’altra parte, sia lui sia sua madre sono ben consapevoli di quanto possa essere lunga la strada della ricerca, e di quanto possano aiutarla eventi casuali e fortunati, come il loro incontro con la ricercatrice. Che tuttavia tiene molto a sottolineare quanto il caso e la fortuna debbano essere anche un po’ provocati. «È molto importante che ci siano tante occasioni di scambio e conoscenza con i pazienti e con altri ricercatori, ma è anche fondamentale essere sempre curiosi, tenere occhi e orecchie ben aperti per cogliere minimi particolari che valga la pena indagare».

Articolo tratto dal Telethon Notizie 3-2018

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