Segnali intracellulari che controllano la perdita di massa muscolare. Identificazione di componenti critici nelle vie di segnale di FoxO, myostatina e ubiquitina-proteasoma per lo sviluppo di nuove terapie nelle distrofie muscolari.

  • 5 Anni 2005/2010
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Le patologie muscolari genetiche sono caratterizzate da una progressiva perdita di massa muscolare che culmina con l’insufficienza funzionale dei muscoli. La terapia genica e cellulare sarebbero la cura per tali patologie tuttavia ci sono seri problemi che ne ostacolano l’utilizzo in campo clinico-terapeutico. Un approccio alternativo e’ quello di ridurre la degenerazione e la perdita di massa muscolare e di favorire la rigenerazione e la ricostruzione dei muscoli distrofici. Questi due processi sono regolati da vie di segnale intracellulare specifiche, solo una loro dettagliata descrizione ci permetterebbe di sviluppare nuovi farmaci. Perciò è giustificato studiare i segnali che regolano la perdita di massa muscolare. Nel topo mdx, un modello animale della Distrofia Muscolare di Duchenne, si è recentemente ottenuto un miglioramento della patologia, sia stimolando la crescita muscolare con un fattore di crescita insulino-simile (IGF1), sia bloccando un fattore che inibisce la crescita muscolare come la miostatina. Si è anche scoperto che, inibendo il proteasoma, un complesso enzimatico che degrada le proteine, si otteneva la espressione di un distrofina troncata con un netto miglioramento della patologia distrofica. Abbiamo quindi tre vie di segnale direttamente coinvolte in un miglioramento del fenotipo distrofico negli animali mdx, tuttavia un progresso in questa direzione richiede una comprensione più approfondita del loro funzionamento. Questo progetto si propone appunto di studiare il ruolo di FoxO, i fattori trascrizionali inibiti da IGF1 e coinvolti nelle perdita di massa muscolare, di miostatina e del sistema proteolitico ubiquitina/proteasoma. Userei diversi approcci atti ad alterare queste vie di segnale con l’obiettivo di identificarne i componenti critici. Questi risultati porterebbero allo sviluppo di nuovi farmaci e a motivare l’uso di terapie, come gli inibitori del proteasoma, già adoperati in campo clinico per la cura di altre patologie.

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