La storia di Carlo, prima persona con beta talassemia a sottoporsi alla terapia genica sperimentale sviluppata all’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano.

Carlo non ha mai avuto paura di lanciarsi nella vita. Lo ha fatto già a 18 anni, quando ha lasciato la Sardegna per trasferirsi a Milano da sua zia per studiare ingegneria civile e inseguire le sue aspirazioni. A Milano si è laureato e ha conosciuto Cecilia, prima amica e poi compagna di vita, anche lei ingegnere.

Carlo durante una partita di calcio

Accanto allo studio ha sempre coltivato molte passioni, tra cui quella per il calcio: tifoso della Juventus, fin da bambino ha rincorso il pallone, anche se a un certo punto è dovuto passare “al calcio a sette” quando il medico non gli ha più fatto il certificato per il gioco agonistico.

Una decisione che ha a che fare con una particolarità del suo DNA: Carlo è nato infatti con la beta talassemia, un’anemia di origine genetica che nella sua bellissima isola è particolarmente diffusa, pur rimanendo una malattia rara. Chi ne soffre, non riesce a produrre una delle porzioni che costituiscono l’emoglobina, la proteina del sangue che ha il compito di trasportare l’ossigeno a tutti i tessuti.

La Sardegna, come in generale tutto il bacino del Mediterraneo, è una di quelle aree del mondo in cui questa condizione è più frequente. Per una sorta di contrappasso, infatti, esserne portatori sani conferisce un vantaggio evolutivo nei confronti dell’agente che provoca la malaria. «Il mio è stato il primo caso di talassemia in famiglia. Quando sono nato, nel 1984, i miei genitori si sono spesso sentiti consigliare di non affezionarsi troppo a me».

Tanti progressi, tanti ostacoli

In realtà, negli ultimi trent’anni la qualità e l’aspettativa di vita sono notevolmente migliorate, anche per le forme più severe come la sua. Questo grazie alle trasfusioni e ai farmaci chelanti del ferro, che consentono di evitarne l’accumulo, dannoso per gli organi interni, in particolare per cuore e fegato. Si tratta di un regime terapeutico impegnativo, da seguire con rigore per sempre. «Non nego che mi pesava “incastrare” le trasfusioni con il calendario della mia vita quotidiana. – ricorda Carlo. Da sempre anche viaggiare in libertà era una sorta di sogno proibito, soprattutto quando hanno cominciato a prospettarsi delle belle opportunità lavorative all’estero. Questo però non toglie la grande gratitudine verso tutti i donatori di sangue, che mi hanno dato la possibilità di condurre una vita tutto sommato normale». I suoi genitori sono infatti sempre stati molto attivi all’interno della sezione locale di Avis, storico partner anche della Fondazione.

L’unico trattamento risolutivo per la beta talassemia è il trapianto tradizionale di midollo osseo, a patto però di avere un donatore compatibile. Non è il suo caso, che però appena superati i trent’anni si trova di fronte a un’altra opportunità.

L'inizio di una strada in salita

Nel 2015, gli viene infatti proposto di sottoporsi per primo alla terapia genica sperimentale messa a punto all’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano dal gruppo di Giuliana Ferrari.

Un approccio che negli anni precedenti aveva cominciato a essere testato, con risultati positivi, su altre gravi malattie genetiche, come la leucodistrofia metacromatica o la sindrome di Wiskott-Aldrich, e che prevede la correzione delle cellule staminali del sangue tramite un virus modificato contenente le informazioni genetiche corrette per sintetizzare la catena beta dell’emoglobina.

Non un virus qualunque, ma addirittura l’HIV. Proprio quello che tra gli anni Ottanta e Novanta sembrava essere un nemico invincibile e che per un certo periodo ha compromesso gravemente anche le trasfusioni salvavita per le persone come lui. Un virus, però, che proprio per le sue caratteristiche è stato trasformato in un farmaco di precisione, grazie alla prima intuizione del direttore dell’SR-Tiget Luigi Naldini.

Carlo e la sua storia

Lo studio sperimentale prevede il coinvolgimento di nove pazienti, di cui i primi tre adulti. Il protocollo clinico è stato definito grazie alla collaborazione con Fabio Ciceri, responsabile dell’Unità di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo del San Raffaele, e un’ematologa del suo team, Sarah Marktel, oltre che con Maria Domenica Cappellini del Policlinico di Milano, da cui è in cura da quando vive nel capoluogo lombardo.

Carlo accetta di essere il primo, nonostante i suoi familiari e la fidanzata Cecilia non siano entusiasti dell’idea.

«Alle persone care andavo bene esattamente così come ero. Ma io volevo provare a cambiare la mia condizione, non potevo negare di sentirmi più fragile degli altri nella vita quotidiana. Questa volontà di miglioramento era molto più forte delle paure, soprattutto perché non si rimane sempre giovani e non si sa mai come il fisico di un talassemico possa comportarsi in pensione in riva al mare. Al contempo, mi sentivo fiero di dare un contributo alla scienza, di fare qualcosa che in futuro avrebbe potuto essere utile anche per altre persone. E così ho deciso di fare il trapianto, del resto la testardaggine è sempre stata un mio marchio di fabbrica, nel bene e nel male!».

« Mi sentivo fiero di dare un contributo alla scienza, di fare qualcosa che in futuro avrebbe potuto essere utile anche per altre persone. »

Carlo, sul momento in cui ha deciso di sottoporsi alla terapia genica sperimentale

L’intervento non è certo una passeggiata, soprattutto per la chemioterapia necessaria a far posto alle cellule corrette con la terapia genica e il lungo periodo di isolamento necessario per dare tempo all’organismo di riprendersi. Eppure, nonostante l’innegabile fatica, il sentimento che prevale è quello della gratitudine, verso tutto lo staff clinico e i familiari che gli sono stati sempre accanto. «Non basta una vita intera per ringraziarli, anche a nome di chi una cura la sta aspettando».

Una discesa felice

Dopo la terapia genica, le condizioni di Carlo migliorano significativamente: per un lungo periodo può interrompere del tutto le trasfusioni, poi ne ha comunque ridotto la frequenza.

Carlo e sua figlia, Giulia

Ma il traguardo più bello, per nulla scontato, è certamente quello di essere diventato papà. «È stato come essere sulle montagne russe, passando da momenti di gioia ad altri di forte delusione. Invece, il 17 febbraio 2023, è arrivata Giulia, la dimostrazione vivente che è valsa la pena vivere questa avventura».

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