«Quando ho comunicato ai genitori di Jacob che il loro figlio era un potenziale candidato alla terapia genica ero a casa mia, una domenica pomeriggio di primavera: volevo farlo nel contesto più tranquillo possibile e avere tutto il tempo di rispondere alle molte domande dei genitori». Ricorda così Alessandro Aiuti, responsabile dell'unità di Ricerca clinica pediatrica dell'Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), quell'11 marzo del 2011 quando via skype ha dato "la" notizia alla famiglia del piccolo americano.

«Sono arrivati a noi tramite il loro medico di Philadelphia, quando in assenza di un donatore adatto è sfumata la possibilità del trapianto di midollo, che attualmente è la terapia indicata per la sindrome di Wiskott-Aldrich - continua Aiuti -. A quel punto la madre mi ha scritto per chiedermi se Jacob potesse entrare nel nostro studio. Ci siamo fatti mandare dai colleghi americani un suo campione di sangue e altre informazioni sulla sua storia clinica e, dopo una serie di valutazioni, abbiamo stabilito che potenzialmente la terapia genica era fattibile. Ma per esserne certi dovevamo fare ulteriori accertamenti, così, quella domenica di marzo, li ho invitati a venire a Milano. Dopo circa un mese il piccolo Jacob ha ricevuto le sue cellule corrette con il gene funzionante, quelle che oggi gli permettono di fare una vita normale e non ammalarsi più come una volta».

Ma come si decide se un paziente è adatto a prendere parte a uno studio sperimentale?

«Questo è uno degli aspetti più delicati ma anche più importanti della ricerca clinica. I criteri che definiscono l'opportunità o meno di somministrare a un paziente, soprattutto se molto piccolo, una terapia del tutto nuova vengono definiti dopo il confronto tra esperti diversi e in accordo con le autorità regolatorie. Nel caso specifico dello studio sulla sindrome di Wiskott-Aldrich abbiamo seguito tre linee fondamentali: avere una ragionevole possibilità di ottenere un beneficio per la salute del paziente, includere pazienti affetti da forme gravi per cui non ci fosse un donatore di midollo compatibile e limitare i rischi associati al trattamento sperimentale - prima di somministrare le cellule corrette dobbiamo infatti sottoporli a chemioterapia e quindi ridurre le loro già deboli difese immunitarie. Naturalmente è sempre necessario ottenere un reale consenso informato dalle loro famiglie, per essere sicuri che abbiano compreso e approvato quello a cui stanno sottoponendo i loro figli».

Regole che possono apparire fredde, crudeli per chi rimane fuori, ma che sono necessarie per far sì che i risultati osservati siano davvero generalizzabili e offrano così una reale possibilità ad altri pazienti. «È questo - conclude Aiuti - il modo migliore con cui la scienza può dare una vera risposta ai malati, di oggi e di domani».

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