Nonostante gli occhi azzurri e la faccia d’angelo, la sua parola d’ordine è determinazione. Ilaria Bertani è una giovane ricercatrice del laboratorio Dti guidato da Roberto Chiesa presso l’Istituto Mario Negri di Milano, dove studia le patologie da prioni, malattie neurodegenerative dovute all’accumulo di una forma anomala di una proteina, quella prionica, dalle funzioni ancora parzialmente oscure.

La sua storia professionale è decisamente peculiare: diplomata al liceo tecnico-biologico ha iniziato a lavorare a soli 20 anni all’Istituto Mario Negri, dove si è specializzata come tecnico di laboratorio. «A differenza di quanto accade alla maggior parte dei miei colleghi, per me è venuto innanzitutto il lavoro pratico – racconta Ilaria -. Parallelamente, però, man mano che diventavo sempre più autonoma nell’organizzazione degli esperimenti  è cresciuta in me la curiosità e la voglia di approfondire l’aspetto più prettamente scientifico del mio lavoro».

Dopo quattro anni di lavoro sui meccanismi di invecchiamento del cervello, Ilaria sente la voglia di mettere il "naso" fuori dall’istituto dove ha mosso i suoi primi passi nella ricerca: approda così all’Istituto San Raffaele-Telethon per la terapia genica di Milano, nel gruppo di ricerca guidato da Alessandra Biffi.

«Era il 2003 e la terapia genica sembrava ancora un tappa futuristica: incontravamo le famiglie e ci sentivano chiedere quando la ricerca avrebbe offerto una possibilità concreta di cura a quei bambini. Allora era difficile rispondere… ecco perché quando durante l’ultima maratona ho visto il primo bambino affetto da leucodistrofia metacromatica trattato con quella terapia finalmente reale sorridere alla telecamera mi sono scesi i lacrimoni. Anche se ho lavorato lì per poco più di un anno ho sentito di aver dato anche io il mio piccolissimo contributo a quel bellissimo risultato: una cosa che auguro a chiunque faccia questo lavoro, perchè ti cambia davvero la vita».

Il lavoro all’Hsr-Tiget piace a Ilaria: «Ho imparato molto non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello caratteriale», però la distanza da casa sua comincia a pesarle: quattro ore di viaggio al giorno sono troppe, soprattutto se si comincia a pensare di avere una famiglia. E così, nel 2004, Ilaria si sposta all’Università dell’Insubria, nel laboratorio guidato da un’altra ricercatrice finanziata da Telethon, Nicoletta Landsberger.

L’argomento di studio cambia, ma le neuroscienze rimangono il filo rosso della sua vita professionale: nel nuovo gruppo, infatti, si studia la sindrome di Rett, grave forma di ritardo cognitivo di origine genetica ancora senza una cura. «Anche l’incontro con le “bambine dagli occhi belli” – continua la ricercatrice – mi ha segnato nel profondo: mi porterò sempre dentro il loro sguardo e la determinazione dei loro genitori». Questa nuova esperienza dura quattro anni, al termine dei quali Ilaria diventa mamma di Lorenzo (con lei nella foto): dopo molti curriculum mandati in giro il cerchio si chiude e il destino la riporta nuovamente nel luogo in cui la sua avventura con la ricerca è iniziata, l’Istituto Mario Negri.

Roberto Chiesa, ricercatore da poco rientrato dagli Usa e che grazie al programma carriere di Telethon ha costituito un proprio gruppo indipendente, la chiama a lavorare con lui per studiare le malattie da prioni. «Dopo la nascita di Lorenzo ho dovuto rivedere la mia giornata lavorativa: non potevo più restare in laboratorio fino a tardi come facevo prima. Non è stato per niente facile, ma con il tempo ho trovato il mio equilibrio e ho persino portato Lorenzo in laboratorio! E poi questo lavoro mi piace troppo: come cerco di trasmettere anche ai giovani tesisti e dottorandi che arrivano da noi, accanto agli aspetti problematici che conosciamo, la ricerca ha anche tanti lati positivi e soprattutto ha un grande valore sociale. E poi anche i risultati apparentemente molto lontani possono concretizzarsi: mi basta pensare a quel bambino trattato al Tiget…».  

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