Noti come le centrali energetiche delle cellule, sono anche produttori di calore, modulatori di crescita, invecchiamento e morte cellulare, strumenti preziosi per le ricostruzioni genealogiche e altro ancora. Cosa sappiamo davvero dei mitocondri e cosa c’entrano questi organelli con le malattie genetiche rare?

I mitocondri
I mitocondri in azione

Il segreto della longevità? Prendersi cura dei propri mitocondri; Dieci modi per dare una spinta ai mitocondri; Cibi che aiutano la salute dei mitocondri. Sono solo alcuni esempi di titoli di articoli nei quali ci si può facilmente imbattere in Internet se si cercano informazioni su come rallentare l’invecchiamento, accelerare il metabolismo, restare sempre in forma e simili. Molto in questo ambito ruota attorno ai mitocondri e a strategie più o meno valide dal punto di vista scientifico per cercare di “mantenerli in forma”, soprattutto quando l’età comincia ad avanzare.

Se però vi state chiedendo che cosa siano e a cosa servano esattamente i mitocondri, questo è il posto giusto in cui trovare una risposta. Ci sono casi, infatti, in cui le loro disfunzioni non hanno a che fare solo con l’invecchiamento o il rallentamento del metabolismo, ma con malattie genetiche rare, talvolta anche molto gravi. Esattamente il tipo di malattie di cui si occupa Fondazione Telethon, che negli anni ha dedicato oltre 100 progetti di ricerca alle malattie mitocondriali o mitocondriopatie, per un totale di oltre 17 milioni di euro. Seguiteci alla scoperta di questi organelli, famosi come centrali energetiche delle cellule – ed ecco svelato perché c’entrano con il metabolismo – ma protagonisti di tante altre funzioni (e storie).

Mitocondri: come sono, quanti sono, dove trovarli

I mitocondri sono organelli presenti nel citoplasma delle cellule eucarioti, le cellule dotate di un’organizzazione interna con suddivisione in vari compartimenti che compongono animali, vegetali, funghi e protozoi. Il numero varia molto a seconda del tipo cellulare: nei globuli rossi, per esempio, non ce ne sono, mentre possono essere centinaia o migliaia nelle cellule di fegato e di muscolo e anche di più negli ovociti.

L’aspetto al microscopio è variabile: dalla sfera al fagiolo passando per il salsicciotto. Quanto alla struttura, in pratica si tratta di sacchettini avvolti da una doppia membrana: una esterna, lineare, e una più interna ripiegata in una successione di anse che conferiscono al mitocondrio il suo aspetto caratteristico.

Cellule nella cellula?

Il primo a osservarli, pur non sapendo cosa fossero, è stato a fine Ottocento il biologo tedesco Richard Altmann. Grazie a un nuovo metodo di colorazione dei preparati cellulari da osservare al microscopio, Altmann individuò nelle cellule eucarioti granuli che secondo lui assomigliavano moltissimo a batteri e che talvolta sembravano dividersi in due proprio come fanno i batteri. Altmann arrivò a considerare questi granuli come organismi elementari e a ritenere che le cellule non fossero altro che “rifugi” costruiti da questi organismi per ripararsi. I colleghi la ritennero un’idea assurda, ma oggi sappiamo che alcune parti delle teorie di Altmann non erano affatto da buttare.

Coinquilini antichissimi

C’è qualcosa di unico e speciale nei mitocondri, che li distingue nettamente da tutti gli altri organelli cellulari ed è il fatto che contengono un proprio DNA, molto simile a DNA batterico. Proprio questa scoperta, insieme ad altre considerazioni, ha portato all’ipotesi più accreditata sulla loro origine. Secondo questa ipotesi, i mitocondri deriverebbero da batteri che poco meno di due miliardi di anni fa sono diventati “coinquilini” dell’antenato della cellula eucariote. Secondo alcuni ricercatori si trattava di parassiti che a un certo punto sono stati “addomesticati”; secondo altri di simbionti, cioè organismi che si scambiavano favori con l’ospite, probabilmente sostanze nutritive. Comunque siano andate le cose, questa convivenza ha permesso un enorme salto evolutivo, permettendo alle cellule ospiti di diventare più grandi e complesse e di dare origine, infine, a organismi multicellulari.

La centrale energetica

Il ruolo per il quale i mitocondri sono senza dubbio più noti è quello di centrale energetica della cellula: producono cioè il carburante che serve alla cellula per svolgere tutte le sue funzioni. Ovviamente non si tratta di benzina, gpl o simili, ma di una molecola chiamata ATP che conserva energia nei legami chimici tra i suoi atomi. Quando questi legami vengono aperti, l’energia viene rilasciata. I mitocondri producono ATP attraverso una serie di reazioni chimiche, utilizzando come elementi di partenza ossigeno e sostanze nutritive (zuccheri, amminoacidi, acidi grassi). Nel complesso, queste reazioni prendono il nome di respirazione cellulare e avvengono in parte sulla membrana interna del mitocondrio e in parte nello spazio racchiuso da questa membrana.

Il ruolo per il quale i mitocondri sono più noti è quello di centrale energetica della cellula: producono cioè il carburante che serve alla cellula per svolgere tutte le sue funzioni.

Data la funzione di centrale energetica, sono le cellule che hanno maggior bisogno di energia – come le cellule muscolari o quelle del cervello – ad avere più mitocondri e a soffrire di più se questi organelli hanno qualche problema.

Dalla produzione di calore allo sviluppo dei neuroni: altre funzioni, non meno importanti

I mitocondri non si limitano a produrre energia chimica. Producono anche calore, contribuendo a mantenere una temperatura stabile nell’organismo. Inoltre, producono molecole di segnalazione coinvolte in meccanismi come la crescita e la sopravvivenza delle cellule e partecipano alla sintesi di alcuni ormoni e vitamine e del gruppo eme (componente fondamentale dell’emoglobina). Ancora: agiscono come conservatori e trasportatori dello ione calcio e svolgono un ruolo centrale nei diversi meccanismi di morte cellulare. Infine, si ritiene che siano coinvolti nella neurogenesi, il processo di sviluppo di nuovi neuroni a partire da cellule progenitrici.

Il Dna dei mitocondri

Ogni mitocondrio ha il proprio corredo di Dna, organizzato in molecole circolari (da due a 10 copie circa per organello). Il Dna mitocondriale è lungo circa 16.500 basi, una frazione davvero minima rispetto al Dna contenuto nel nucleo cellulare (quello dei cromosomi, per intenderci), che misura 3,2 miliardi di basi. A proposito: le ‘basi’, in gergo molecolare, sono i mattoncini chimici fondamentali che costituiscono gli acidi nucleici, Dna e Rna. In tutto, il Dna mitocondriale ospita 37 geni (contro i 20 mila del Dna umano), 13 dei quali codificano per proteine coinvolte nelle reazioni di respirazione cellulare. Gli altri codificano per molecole di Rna coinvolte nel processo di sintesi delle proteine. Altre proteine fondamentali per il funzionamento dei mitocondri sono codificate da geni contenuti nel Dna nucleare.

Una trasmissione speciale, solo per via materna

In condizioni normali, ognuno di noi possiede 23 coppie di cromosomi. Per ogni coppia, un cromosoma viene ereditato dal padre e uno dalla madre. Nel caso del Dna dei mitocondri, però, le cose funzionano molto diversamente e la trasmissione avviene solo per via materna. In partenza, sia gli ovociti sia gli spermatozoi possiedono mitocondri: anzi, nella “coda” degli spermatozoi ce ne sono molti, necessari per produrre tutta l’energia necessaria al suo movimento. Al momento della fecondazione, però, quando la testa dello spermatozoo penetra nell’ovocita, tutti i mitocondri dello spermatozoo vengono distrutti. All’ovocita fecondato e al nuovo individuo che ne deriva rimangono solo i mitocondri dell’ovocita stesso, dunque quelli della madre.

Il Dna mitocondriale e la fine dei Romanov

È una modalità di trasmissione decisamente speciale, che ha fatto del Dna mitocondriale un potentissimo strumento di analisi genealogica. Proprio grazie all’analisi del Dna mitocondriale, per esempio, è stato possibile identificare in una serie di resti ossei ritrovati in buche nei pressi della città russa di Ekaterinburg i resti della famiglia imperiale russa dei Romanov. Si trattava dello zar Nicola II (ultimo zar di Russia), della moglie Alessandra e dei loro cinque figli, tutti fucilati nel 1918 da rivoluzionari bolscevichi. L’analisi ha riguardato sia il Dna mitocondriale ricavato da questi resti sia quello estratto da alcuni parenti ancora in vita dello zar e dei suoi famigliari. Tra questi, Filippo di Edimburgo, consorte della Regina Elisabetta II di Inghilterra e nipote della moglie dello zar (era figlio della sorella della zarina Alessandra, per cui entrambi avevano ereditato dalla madre lo stesso Dna mitocondriale).

Mitocondri e salute

Per le loro numerose e importanti funzioni i mitocondri sono organelli fondamentali per la salute delle nostre cellule e, per esteso, dell’organismo tutto. Sono coinvolti nei processi di invecchiamento, nel modo in cui rispondiamo a infezioni e traumi, nell’insorgenza e progressione di varie malattie tra quali il cancro, il morbo di Alzheimer e quello di Parkinson, nell’insorgenza di malattie genetiche rare, l’oggetto di studio dei progetti finanziati da Fondazione Telethon.

Mitocondri e malattie genetiche rare

Le malattie mitocondriali (mitocondriopatie) sono un gruppo di malattie genetiche molto eterogenee tra loro. Prese singolarmente sono molto rare, ma nel complesso riguardano all’incirca un individuo su 5000. Queste malattie possono riguardare singoli organi e tessuti, per esempio gli occhi come nel caso dell’atrofia ottica dominante, oppure coinvolgere più sistemi contemporaneamente, in genere quello nervoso e quello muscolare, come nella sindrome MERRF, le sindromi da deplezione del Dna mitocondriale o la sindrome MELAS. In genere, la gravità di queste malattie può variare molto da individuo a individuo, anche all’interno della stessa famiglia.

Le malattie mitocondriali sono causate da disfunzioni dei mitocondri che possono dipendere sia da mutazioni del Dna mitocondriale sia da mutazioni dei geni nucleari che codificano per proteine coinvolte nel funzionamento dei mitocondri. A seconda dei geni coinvolti, la trasmissione della malattia può seguire le leggi di Mendel (trasmissione autosomica dominante, autosomica recessiva, legata all’X) oppure avvenire esclusivamente per via materna. Già questo complica la diagnosi di queste malattie, che nel caso della trasmissione materna è ulteriormente complicata dal fatto che in genere non tutte le cellule di un individuo affetto possiedono lo stesso numero di mitocondri alterati.

Le prospettive terapeutiche per le malattie mitocondriali

Purtroppo, per la maggior parte delle malattie mitocondriali non esistono terapie risolutive. In alcuni casi, come il deficit di coenzima Q10, può essere utile la somministrazione di particolari sostanze; in altri possono essere consigliate diete speciali. Talvolta sono utili terapie di supporto come fisioterapia respiratoria, logopedia, attività fisica. Anche se manca la “cura”, però, quello che non manca è la ricerca e Fondazione Telethon naturalmente è in prima linea. Tra i progetti di ricerca finanziati in questo ambito c’è per esempio quello di Massimo Zeviani dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare: Zeviani e il suo gruppo stanno cercando di sviluppare approcci di terapia genica per malattie mitocondriali causate da mutazioni in singoli geni nucleari. L’idea è fornire alle cellule con il gene mutato una copia sana del gene, veicolata attraverso un vettore virale.

Il sogno del “trapianto” di mitocondri

Se in alcuni casi le malattie mitocondriali dipendono da mutazioni del Dna mitocondriale, e se queste passano per via materna, perché non provare a eliminare il problema alla radice, eliminando i mitocondri difettosi dagli ovociti materni che ne sono provvisti? Non è fantascienza, ma una reale linea di ricerca, portata avanti in particolare da alcuni gruppi soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti.

Si parla di trasferimento mitocondriale e dovrebbe funzionare così: se si sa che una donna è a rischio di trasmettere una malattia mitocondriale si prelevano i suoi ovociti, da questi si preleva il nucleo (prima o dopo fecondazione) e lo si trasferisce nell’ovocita di una donna con mitocondri sani, da cui sia stato eliminato il nucleo. Una volta fecondato, il nucleo della madre si svilupperà all’interno della cellula uovo della donatrice, contenente mitocondri sani e non difettosi. La tecnica è stata impiegata per esempio nel caso di una madre portatrice di una mutazione mitocondriale per la sindrome di Leigh, che ha partorito nel 2016 un bimbo sano (ma che tuttavia è uscito dal protocollo di controlli clinici dopo qualche mese, per volontà dei genitori). Per ora è espressamente approvata solo nel Regno Unito. Alcuni ricercatori sollevano dubbi sulla reale efficacia di questa tecnica e sulla sua sicurezza, ma ci sono state anche critiche etiche, che possiamo riassumere ricordando i titoli (decisamente inesatti) di giornali sui “bambini con tre genitori” (la madre, il padre e la donatrice dei mitocondri). In alcuni paesi, il trasferimento nucleare è stato utilizzato non senza controversie anche nell’ambito di trattamenti di infertilità.

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