Storia di Umut: dal buio totale, la luce della speranza

Umut ha solo un mese quando riceve la diagnosi di leucodistrofia metacromatica: una diagnosi precoce che ha permesso una somministrazione altrettanto precoce della terapia genica, cambiandogli la vita.

Ottobre 2022: Umut, cinque anni, sta facendo un controllo di routine con i fisioterapisti dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica. Indossa una felpa gialla con il disegno di due ruspe e gioca con… una ruspa! «Macchine, camion, ruspe, treni: sono i suoi giochi preferiti, può giocarci per ore», conferma la mamma. Intanto il bimbo sorride con un sorriso incantevole, tra il dolce e il birichino, e si muove con una naturalezza incredibile, se si pensa alla sua storia. Già, perché Umut, che viene da un piccolo paese del Kurdistan turco, ha la leucodistrofia metacromatica, una gravissima malattia neurodegenerativa progressiva che ha colpito duramente la sua famiglia. Un caso fortuito e fortunato, però, ha permesso per Umut una diagnosi precocissima e un intervento altrettanto precoce con la terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’SR-Tiget. E così, la sua prospettiva di vita è radicalmente cambiata.

Dalla Turchia all’Italia

Umut è l’ultimo di cinque figli. «Con Miraj, la più grande (oggi ha 16 anni), è andato tutto bene, ma quando la seconda, Zeynep, aveva tre anni e mezzo, ha cominciato a cadere molto spesso» ricorda la mamma. «Abbiamo capito che c’era qualcosa di strano e i medici dopo qualche tempo hanno formulato la diagnosi di leucodistrofia metacromatica, spiegandoci che da quel momento in avanti le capacità motorie e cognitive della bimba sarebbero andate peggiorando progressivamente. Ci hanno proposto il trapianto di midollo osseo, spiegando però che c’erano rischi e non c’era nessuna garanzia di guarigione. Abbiamo preferito non farlo».

Intanto era arrivato anche Alì e anche lui, intorno ai tre anni, ha cominciato mostrare i primi sintomi. Anche per lui è arrivata la diagnosi, ma questa volta i medici turchi avevano qualcosa in più da proporre: la prospettiva di una nuova terapia genica, sviluppata in Italia. Questa volta mamma e papà hanno deciso che valeva la pena tentare e sono partiti per l’Italia con Alì, la sorellina Irem, alla quale era già stata diagnosticata la malattia con un test genetico ma che ancora non aveva sintomi, e il piccolissimo Umut, di un mese appena.

Una diagnosi inaspettata

A Milano, per quella famiglia così provata e così tenace è stato un susseguirsi di emozioni fortissime, tra la disperazione più profonda e il sollievo. «Il momento peggiore è stato scoprire che Alì non poteva essere trattato perché la malattia aveva già fatto troppi danni. È stato terribile arrivare con Alì che camminava ancora e ripartire, qualche mese dopo, con Alì che non camminava più». Per Irem, invece, c’era in serbo un’ottima notizia: un nuovo test genetico aveva rivelato che la bimba non era malata, ma solo portatrice della malattia. A questo punto, però, i medici hanno fatto il test anche al piccolo Umut, portato in quel viaggio un po’ per caso, solo perché era davvero troppo piccolo per essere lasciato a casa. E a questo punto è tornato il buio.

«Quando ci hanno detto che era malato mi sono sentita completamente abbattuta. Non riuscivo a crederci perché avevo già due bambini malati. Mi sembrava di essere nel buio più totale. Poi, in questo buio, si è accesa una piccolissima luce, quando ci hanno spiegato che Umut poteva ricevere la terapia. Nonostante le paure per quello che stava per succedere - era pur sempre una terapia nuova e pesante - quella luce è diventata sempre più forte. Sarò per sempre grata a Fondazione Telethon, per tutto quello che ha fatto per Umut e per i bambini come lui».

Una vita rinata

Oggi Umut sta bene: ha iniziato l’anno scorso ad andare all’asilo e adora giocare con gli altri bambini. «È un monello» afferma la mamma, ma con un sorriso. «Come tanti bambini che hanno ricevuto la terapia genica, festeggia due compleanni: il giorno in cui è nato e il giorno in cui ha fatto la terapia». A vederlo correre e saltare su e giù dai muretti del giardino dell’ospedale San Raffaele non si potrebbe mai immaginare che malattia devastante si nasconda nei suoi geni, a dimostrazione anche di quanto sia importante intervenire - per questa come per altre malattie rare - il prima possibile.

Certo le preoccupazioni per mamma e papà non sono finite. Durante il controllo di ottobre, il primo a Milano dopo la terapia, a causa delle difficoltà create dall’emergenza Covid nel periodo precedente, Umut ha cominciato a chiedersi il perché di tutti quegli esami. «Ho dovuto cominciare a spiegargli della sua malattia, che è la stessa dei fratelli, rassicurandolo però sul fatto che per lui le cose andranno diversamente. E io spero davvero che sarà così». La luce, insomma, continua a rimanere accesa.  

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