Nata con l’amaurosi congenita di Leber, la bambina si è sottoposta a un protocollo di terapia genica. Accanto la sua famiglia e soprattutto papà Antonio che ci ha sempre creduto.

Alessia

Il buio è la cosa peggiore, la cosa che papà Antonio sopporta con più fatica. Il pensiero che la sua piccola Alessia, 10 anni, possa vivere una vita al buio non gli dà pace. E così si è messo in marcia per cercare di raggiungere una luce di speranza: all’inizio era distante, quasi impercettibile, ma ha tenuto lo sguardo fisso sull’obiettivo e ce l’ha fatta. Alessia non vivrà al buio.

Alessia è nata con l’amaurosi congenita di Leber, una patologia genetica che colpisce la retina e causa cecità, o grave ipovisione, sin dalla tenera età.  Il nistagmo è stato il primo segnale della malattia, che Alessia ha manifestato già a un mese dalla nascita.

Antonio racconta che quando la pediatra, notando il nistagmo, ha consigliato una visita neurologica, è stato come se un asteroide fosse caduto improvvisamente nella loro vita. Da allora un via vai di medici e di pareri che tendevano a minimizzare: «Ma sì, vedrai che poi crescendo le passa, si può ancora correggere da sola - ricorda - può capitare… ma io sapevo che c’era qualcosa di più».

«Ho iniziato a seguire tutti i convegni di oftalmologia genetica. Non era facile ma l’ho fatto lo stesso. Io volevo capire, io dovevo capire»

Papà Antonio

Antonio non si è mai arreso a questo fatalismo e ha cercato di mettere insieme i vari pezzi del puzzle: «Ho fatto delle ricerche su internet e ho visto che Alessia presentava tutti, ma proprio tutti i sintomi dell’amaurosi di Leber. Poi ho iniziato a seguire tutti i convegni di oftalmologia genetica che si svolgevano da sud a nord e a studiarmi la letteratura scientifica in materia. Io avevo un livello di inglese base e non sono un medico, figurarsi quanto poteva essere facile. Ma l’ho fatto lo stesso. Io volevo capire, io dovevo capire».

Telethon è stato illuminante. È grazie alla maratona se Antonio ha acquisito le prime informazioni e soprattutto, è grazie a Telethon che ha conosciuto la storia di Orlando, un ragazzo con la stessa patologia di Alessia e che ha migliorato la sua capacità visiva attraverso un intervento sperimentale di terapia genica, negli Stati Uniti.

Orlando è stato tra i primi quindici pazienti al mondo ad essere trattato con questo protocollo terapeutico, messo a punto da un consorzio internazionale a cui ha partecipato anche Alberto Auricchio del Tigem, l’Istituto Telethon di genetica e medicina di Pozzuoli (Napoli). Per pura combinazione, Orlando vive a pochi chilometri da Alessia: così Antonio si è fatto coraggio e ha cercato un modo per entrare in contatto con il ragazzo e la sua famiglia. Si sono incontrati e ha visto quanto Orlando fosse autonomo e quali fossero gli accorgimenti giusti per permettere anche a sua figlia di vivere gli spazi in modo sereno.

Esiste una via d’uscita, una luce che possa illuminare il mondo di Alessia. È una svolta per le ricerche di Antonio che a questo punto non ci dormiva la notte. “Studiando” ha cominciato a notare una ricorrenza nei nomi che apparivano nei risultati: Francesca Simonelli, medico e ricercatrice sostenuta da Fondazione Telethon, era sempre citata come un’autorità in materia. Così, nel 2013, appena avuta la diagnosi definitiva, si è rivolto a lei e ha ottenuto un colloquio. La Simonelli gli ha spiegato che i geni che possono causare questa particolare malattia genetica della vista sono molti, ma il protocollo di terapia genica era “costruito” solo sulla forma causata da mutazione nel gene RPE65. Era indispensabile fare un esame genetico completo per sapere se Alessia avrebbe avuto una possibilità.

Dopo due anni ricevono i risultati. Quando Antonio prende in mano la lettera decide di andare ad aprirla in chiesa, il suo rifugio: «Sono andato lì tutti i giorni a pregare, a pensare, a implorare un miracolo. Quel giorno - racconta - stavo lì seduto, dinanzi a Maria col Bambinello, con la busta in mano, chiusa, ad aspettare chissà che, come se il risultato potesse cambiare … non osavo aprirla, ma alla fine mi sono deciso. Non ci potevo credere: Alessia aveva la mutazione nel gene RPE65». Così è tornato a casa, ha preso un foglio di carta e ha scritto a caratteri cubitali RPE65. Ha detto ad Alessia di tenerlo in mano e farlo vedere alla mamma: quando ha aperto la porta e si è trovata davanti questa scritta, un’esplosione di gioia ha travolto tutta la famiglia.

Ci sono voluti altri due anni per l'approvazione della cura negli Stati Uniti ed ancora due anni perché il programma di terapia genica fosse approvato in Italia e perché Alessia vi fosse inserita. Così la bambina è stata sottoposta al primo intervento su un occhio e dopo un mese all’altro occhio, arrestando la progressione della malattia e migliorando in parte il suo residuo visivo.

Ci sono tre parole, in particolare, che Antonio ricorda di quei giorni. Alessia era appena tornata a casa dal primo intervento e, come abitudine, tutte le luci di casa erano tenute accese. Aveva una benda sull’occhio e arrivò il momento di toglierla. A quel punto Alessia si guardò intorno, e dopo un gran sospiro… «wow, quanta luce!».

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