“Dare una mano è darsi una mano”: perché donare fa bene

Donare con consapevolezza può portare benefici? Secondo Serenis, innovativa startup milanese nell’ambito dei servizi psicoterapeutici, i motivi sarebbero diversi. Numerosi studi evidenziano il legame tra altruismo, benessere personale.

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Si dice che quello che doni, lo ricevi in cambio doppiamente ed essere generosi può contribuire a ridurre lo stress e a migliorare il benessere emotivo.

Basti pensare alle sensazioni che scaturiscono dopo aver compiuto un buon gesto: positività, allegria, leggerezza. Infatti, aiutare gli altri porta a cambiamenti fisiologici positivi associati alla felicità.

Se è certo che il denaro non può comprare la felicità, c’è una piccola possibilità che spenderlo consapevolmente possa portare benefici a chi lo dona e a chi lo riceve. Al giorno d’oggi numerose sono le possibilità per chi vuole donare: che si tratti di una piccola somma di denaro o di un contributo più sostanzioso, le opzioni sono sempre più variegate, ma l’effetto positivo è lo stesso.

Perché doniamo?

Secondo Serenis, innovativa startup milanese che rende accessibili servizi di psicoterapia tramite app, i motivi principali possono essere tre:

  • Altruismo. Molti donatori  lo fanno perché sono consapevoli della causa a cui donano parte del loro tempo e denaro, avendo a cuore la causa e l’idea di poter regalare una possibilità in più a chi è più bisognoso di ricevere una piccola spinta positiva.
  • Benessere personale. Numerosi studi ce lo dimostrano, che far bene fa bene: aiutare può essere  un modo per socializzare,  dare un senso nuovo alla propria vita e migliorare l’umore.
  • Una correlazione fra i due primi punti. Può sembrare strano, ma tuttavia appare logico: un’opzione non escluda l’altra. Donare è un modo costruttivo di usare una sana dose di naturale egoismo per scopi altruistici: “dare una mano” tramite la beneficenza è un buon modo per sentirsi in pace con sé stessi.

Un mix di motivi, che tuttavia comporta un risultato positivo per tutti coloro che si mettono in gioco. Basta una semplice ricerca per scoprire che ci sono una moltitudine di studi che trattano di questo argomento.

Fra i tanti, uno studio su la rivista scientifica Science, ha dimostrato che donare una piccola somma di denaro ad una causa in cui si crede o impegnarsi in azioni di volontariato tramite una no profit comporta una diretta correlazione all’incremento del benessere psicologico dei partecipanti allo studio, mentre spendere per motivazioni puramente personali non ha dimostrato alcuna ripercussione sulla psiche del campione in esame.

Per quanto possa sembrare strano, la ricerca come l'offerta di supporto, in una specie sociale come la nostra, preserva attraverso il rilascio di ossitocina, la funzionalità del nostro cuore (e non solo), dagli effetti nocivi dello stress. Aiutare fa bene, a noi e agli altri.

Martina Migliore, psicoterapeuta e Direttrice Formazione e Sviluppo di Serenis

Fare beneficenza attiva il sistema di ricompensa, il circuito cerebrale coinvolto in tante attività che ci danno piacere. Dunque, se il corpo recepisce questi segnali, la mente segue. Il sistema di ricompensa talvolta richiede continuità, che porta ad agire allo stesso modo per tenere alta la sensazione di benessere.

La fetta solidale all’interno di una grande torta

La volontà di ‘fare del bene’ non è un fenomeno circoscritto a una piccola nicchia della popolazione, quanto uno in continua crescita.  

Secondo il report di Vita, gli italiani continuano ad essere generosi anche davanti le situazioni incerte, semplicemente perché vogliono essere tali.  

55% italiani che hanno fatto almeno una donazione
+19% donazioni
18-24 anni fascia d'età che ha donato di più

Difatti, nel 2022 il 55% degli italiani ha ammesso di aver fatto almeno una donazione ad un’associazione. Questi dati rappresentano il 19% in più rispetto agli anni passati. L’evidenza principale è che la fascia d’età in continua crescita e più propensa a portare a termine una donazione sia quella dei Millenials e Gen Z, fra i 18-24 anni.

La tendenza a donare è dunque una curva in perenne mutamento, ma in evidente crescita. L’animo umano ha da sempre dimostrato una particolare propensione allo spirito di comunità e alla socialità. Tutt’ora, in un mondo in perenne cambiamento, la ricerca del benessere comune è un fattore motivante all’azione.

“Offrire una parte di sé è prendersi cura degli altri, e nel momento in cui mi prendo cura degli altri, mi prendo cura anche di me stessa, perché mi sento all'interno della dimensione umana.”

Cristina, donatrice Telethon

Le testimonianze dei donatori rappresentano la grande conferma all’ipotesi avanzata dagli studi, dando un’immagine concreta e tangibile di tutte le analisi statistiche e percentuali.

La testimonianza di Cristina, insegnante, mamma e pedagogista, ma anche donatrice di Fondazione Telethon. Le sue parole regalano un quadro nitido delle motivazioni che spingono le persone a rendersi parte di realtà come quella della Fondazione.

“Non esiste la differenza tra chi dona e chi riceve. Esiste con la razionalità, naturalmente, ma nel momento in cui dona, si dona non tanto ciò che si ha, il gesto che si può vedere, ma si dona quello che non si ha, che non si vede, e cioè proprio il riconoscere la dimensione umana della vita. - racconta Cristina. - L'esperienza del dono è una forma di solidarietà. Offrire una parte di sé è prendersi cura degli altri. Nel momento in cui mi prendo cura degli altri, mi prendo cura anche di me stessa, perché mi sento all'interno della dimensione umana”.

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