Gene editing, arrivano le prime linee guida internazionali

Applicare alle cellule germinali le tecniche di editing del genoma, o gene editing – ovvero l’aggiunta, rimozione o sostituzione di sequenze di Dna in gameti o embrioni in stadio precoce di sviluppo – potrebbe essere consentito in futuro, ma soltanto in condizioni strettamente controllate e per il trattamento di malattie gravi: è la raccomandazione che emerge dal rapporto “Human genome editing: Science, Ethics and Governance”, reso oggi disponibile dalla National Academy of Sciences (NAS) e dalla National Academy of Medicine (NAM) statunitensi. Il documento illustra le condizioni rigorose che andrebbero verificate prima di consentire l’avvio di studi clinici che impieghino queste tecniche applicate alla linea germinale. Attualmente il gene editing è già utilizzato in alcune sperimentazioni cliniche in corso, ma soltanto su cellule somatiche (non germinali) e per il trattamento di malattie gravi.

Il gene editing non è una novità in senso stretto, ma l’avvento di nuove tecniche che ne consentono maggiore efficacia e precisione e costi contenuti, come per esempio la CRISPR/Cas9, ha aperto molte nuove opportunità, sia nell’ambito della ricerca di base che in ambito clinico. Le possibili applicazioni sono svariate, possono riguardare la linea somatica o quella germinale, nonché svariate tipologie di tessuti umani. Di fronte alle opportunità ma anche alle preoccupazioni suscitate dall’avvento di queste tecnologie, NAS e NAM hanno costituito un comitato di studio di esperti internazionali per valutare gli aspetti di natura scientifica, etica e di governance relativi al gene editing. Al lavoro, durato più di un anno, ha preso parte, unico italiano, anche il direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano Luigi Naldini, che ha definito il progetto «una coinvolgente occasione di confronto, che ha permesso di mettere in comune conoscenze, esperienze, culture, religioni e nazionalità diverse per affrontare le sfide aperte dalle nuove tecnologie: lo sforzo è stato quello di cogliere le nuove opportunità terapeutiche bilanciando le ragioni scientifiche con l’attenzione a considerazioni di natura etica e di responsabilità sociale».

L’editing del genoma è già ampiamente utilizzato nell’ambito della ricerca di base e preclinica, ma anche in alcuni studi clinici su cellule somatiche: queste terapie sperimentali riguardano quindi solo il paziente e non la sua futura progenie e il rapporto raccomanda che continuino a essere sviluppate con l’obiettivo di trattare o prevenire gravi patologie e disabilità, attenendosi ai principi etici e ai percorsi regolatori già disponibili e implementati per lo sviluppo della terapia genica. Nel valutare la sicurezza ed efficacia dei nuovi trattamenti propositi, le autorità regolatorie dovrebbero considerare il rapporto rischi e benefici rispetto a ogni specifica applicazione.

Tuttavia, si riconosce una significativa preoccupazione generale per il possibile impiego in futuro di queste tecniche per il “potenziamento” di funzioni fisiologiche o di caratteristiche umane quali la forza fisica, o persino l’intelligenza (per quanto impossibile secondo gli scienziati). Il rapporto raccomanda di non applicare per ora il gene editing in questo senso e di promuovere un confronto pubblico tra i diversi stakeholder prima di avviare qualsiasi sperimentazione clinica per scopi diversi da quelli di trattare o prevenire una malattia o disabilità grave.

Per contro, l’applicazione dell’editing del genoma a cellule germinali è molto controversa perché le modifiche introdotte verrebbero ereditate dalle generazioni successive. Secondo un’opinione diffusa, questo comporterebbe l’attraversamento di un “limite invalicabile”. Le critiche al riguardo sono di natura filosofica e religiosa (liceità di interferire con la riproduzione umana), sociale (impatto sull’attitudine verso persone con disabilità), sanitaria (possibili rischi per la salute della progenie futura). Al contempo però l’impiego di questa tecnica nei gameti darebbe ad alcuni individui portatori di difetti genetici la migliore opportunità di avere figli sani geneticamente correlati.

Secondo il rapporto c’è ancora molta ricerca da fare per valutare rischi e benefici prima di iniziare a considerare un possibile impiego in clinica del gene editing nelle cellule germinali umane. Tuttavia la tecnologia viene perfezionata continuamente, al punto che l’applicazione in embrioni allo stadio precoce, ovociti, spermatozoi o le loro cellule progenitrici rappresenti nel prossimo futuro «una possibilità realistica, che merita una seria riflessione al riguardo» raccomanda il rapporto, che sottolinea anche come «cautela non significhi necessariamente divieto».

Al momento l’applicazione del gene editing alle cellule germinali non è permessa negli Stati Uniti, dove vige un divieto da parte della Food and Drug Administration di utilizzare fondi pubblici per studi in cui «un embrione umano è volutamente creato o modificato per assumere una modificazione genetica ereditabile». In Italia, la legge 40 del 19 febbraio 2004, “norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, vieta «ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti ovvero interventi che, attraverso tecniche di selezione, di manipolazione o comunque tramite procedimenti artificiali, siano diretti ad alterare il patrimonio genetico dell’embrione o del gamete ovvero a predeterminarne caratteristiche genetiche». La Corte Costituzionale ha però recentemente escluso da queste restrizioni l’accesso alla diagnosi genetica pre-impianto (PGD) di coppie portatrici di geni associati a malattie genetiche gravi (link alla sentenza).

Se le attuali restrizioni dovessero essere ulteriormente riviste o venire a cadere, e per quei Paesi dove l’applicazione del gene editing alle cellule germinali è già consentita, il rapporto raccomanda di rispettare criteri stringenti prima di autorizzare studi clinici al riguardo, tra cui: assenza di alternative valide; limitazione dell’applicazione a quei geni che siano stati associati in maniera scientificamente solida all’insorgenza o predisposizione a una grave malattia; disponibilità di dati preclinici o clinici che indichino i potenziali rischi e benefici; monitoraggio rigoroso per tutta la durata dello studio clinico; follow-up a lungo termine, che coinvolga i figli e le successive generazioni dei pazienti trattati; rivalutazione periodica dei rischi e benefici dal punto di vista sanitario e sociale anche attraverso un dialogo aperto con tutte le componenti della cittadinanza. È importante infatti che i decisori tengano conto dell’opinione pubblica e che parte dei fondi a supporto della ricerca sul gene editing siano destinati allo studio degli aspetti socio-politici, etici e legali, vista l’importanza della comunicazione e del coinvolgimento pubblico sul tema. Il rapporto raccomanda una serie di principi da seguire in tutti i Paesi riguardo alla governance della ricerca e delle applicazioni cliniche in tema di editing del genoma:

  1. Promozione della salute – offrire benefici e prevenire danni ai pazienti
  2. Trasparenza – fornire informazioni chiare, accessibili e fruibili a pazienti, familiari e stakeholder
  3. Cautela – procedere soltanto se sono disponibili solidi dati scientifici a supporto
  4. Ricerca responsabile – seguire i migliori standard nel condurre la ricerca, in linea con la migliore prassi internazionale
  5. Rispetto per gli individui – riconoscere la dignità di ogni singolo individuo e rispettarne le decisioni
  6. Equità – trattare tutti i casi allo stesso modo, con un equo bilancio tra rischi e benefici
  7. Cooperazione transnazionale – condurre le ricerche con un approccio collaborativo, pur rispettando le differenze culturali.

«Queste raccomandazioni, formalmente dirette ai Paesi che hanno sponsorizzato lo studio, ovvero Stati Uniti e Regno Unito – conclude Naldini – sono in realtà rivolte a tutti, almeno nella impostazione generale: illustrano una prudente roadmap per lo sviluppo delle applicazioni del gene editing in campo biomedico, indicando meccanismi appropriati di sorveglianza e di coinvolgimento della società nel senso più ampio del termine, che possano guidare gli eventuali futuri primi passi verso interventi controversi come la modificazione della linea germinale e il potenziamento di alcune caratteristiche della specie umana».

Lo studio è stato finanziato da: Defense Advanced Research Projects Agency, Greenwall Foundation, John D. and Catherine T. MacArthur Foundation, U.S. Department of Health and Human Services, U.S. Food and Drug Administration, Wellcome Trust, National Academies’ Presidents’ Circle Fund, National Academy of Sciences W.K. Kellogg Foundation Fund. La National Academy of Sciences e la National Academy of Medicine sono organizzazioni private non profit che, insieme alla National Academy of Engineering, forniscono analisi indipendenti e oggettive per supportare i decisori pubblici nell’affrontare problematiche complesse e informare la cittadinanza su tematiche inerenti scienza, tecnologia e medicina. Entrambe le Accademie operano in accordo con la carta del congresso firmata nel 1863 dal Presidente Lincoln. Per maggiori informazioni, visita il sito www.national-academies.org; la versione originale del rapporto “Human Genome Editing: Science, Ethics, and Governance” è disponibile sul sito http://www.nap.edu

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