Storia di un bambino boliviano e della grande catena di solidarietà che gli ha permesso di ricevere la terapia genica “made in Italy” che ha curato la sua grave immunodeficienza.

Guarda il video che racconta la storia di Abraham

La diagnosi di una malattia rara è sempre un terremoto, uno sconvolgimento di tutti gli equilibri. Ma ci sono famiglie per cui il contesto di vita può renderla, se possibile, ancora più dura. Come quella di Abraham, un bambino nato nell’estate del 2016 a Tarija, una città del sud della Bolivia. Fin da piccolissimo entra ed esce dagli ospedali: sanguina spesso, è vittima di infezioni ricorrenti e difficili da trattare, il suo corpo è ricoperto di eczemi. I medici capiscono di essere di fronte a una malattia grave, che presto acquista anche un nome: sindrome di Wiskott-Aldrich, una malattia genetica del sistema immunitario caratterizzata anche da autoimmunità e aumentato rischio di tumori. Abraham ne ha una forma molto grave e i medici non gli danno molte speranze: l’unica possibilità di cura è rappresentata da un trapianto di midollo.

Abraham insieme a mamma Raquel

Un lungo viaggio

Pur essendo in gravi difficoltà economiche, i genitori Raquel e Alberto decidono inizialmente di trasferirsi in Argentina nella speranza di offrigli cure migliori. Poi, mettendo da parte qualsiasi orgoglio, avviano una personale raccolta fondi e riescono a pagarsi il biglietto aereo per la Spagna, dove sperano che Abraham possa sottoporsi al trapianto. Purtroppo, una volta arrivati ricevono una vera doccia fredda: non c’è un donatore compatibile e non possono permettersi di aspettare. Non hanno soldi, la loro casa è lontana… ma con la forza della disperazione decidono di fare un ultimo tentativo.

«In Bolivia ci dicevano che sarebbe morto, ma noi abbiamo continuato a sperare. E lui ora c’è, è qui con noi».

Raquel, mamma di Abraham

Cercando informazioni su internet hanno scoperto che in Italia c’è una possibilità di cura per il loro bambino: è la terapia genica messa a punto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano. Un trattamento innovativo che consente di correggere il difetto genetico responsabile direttamente nelle cellule staminali del sangue del paziente, senza dover ricorrere a un donatore. I medici spagnoli confermano che si tratta dia strategia molto promettente: Alberto e Raquel non ci pensano su molto e prendono un pullman per Milano.

Dal buio alla luce

In una fredda sera invernale del 2018 la famiglia arriva in Italia. Sono stanchi, tutto quello che hanno è racchiuso in due valigie e, soprattutto, il piccolo Abraham sta sempre peggio. Si precipitano all’Ospedale San Raffaele, dove il bimbo viene ricoverato: ha la polmonite ed è in pericolo di vita, ma per fortuna lo staff guidato da Alessandro Aiuti riesce a stabilizzarlo. Non c’è tempo da perdere, ma lo studio sperimentale in quel momento è fermo, non prevede di coinvolgere altri pazienti.

Il prof. Alessandro Aiuti e Abraham

Parte allora una grande catena di solidarietà: il farmaco viene fornito gratuitamente dall’azienda, in base all’uso compassionevole, mentre grazie a un finanziamento della Regione Lombardia dedicato all’assistenza sanitaria per cittadini extracomunitari vengono coperti i costi ospedalieri. Tutte le spese logistiche, tra cui viaggio e permanenza in Italia, sono invece sostenute da “Come a casa”, il programma di accoglienza della Fondazione Telethon che offre un supporto a 360 gradi alle famiglie che da tutto il mondo vengono a curarsi nel proprio istituto.

La cura e una nuova vita

Il 24 gennaio 2019 Abraham riceve le sue cellule staminali precedentemente corrette, in grado di produrre quell’enzima fondamentale per un corretto sviluppo del sistema immunitario che in lui è difettoso a causa di una mutazione genetica. dopo l’intervento, a poco a poco il sistema immunitario del bambino riprende a funzionare: l’eczema scompare, il numero delle piastrine sale e le infezioni ricorrenti sono solo un lontano ricordo. Durante l’estate la famiglia rientra in Bolivia e per loro comincia una nuova vita.

Abraham inizia a frequentare la scuola, può giocare con i suoi amici e i cugini, andare in bicicletta. I genitori, più sereni, trovano un nuovo lavoro. I genitori sono estremamente grati ai medici, ai ricercatori, alla Fondazione Telethon: «non avremmo mai pensato a un futuro con nostro figlio in Bolivia. La volontà e il coraggio ci hanno portati in Italia. Siamo così grati al professor Aiuti e a tutta la sua equipe. Dobbiamo loro la vita di nostro figlio: ci hanno dato una speranza e lo hanno salvato. In Bolivia ci dicevano che sarebbe morto, ma noi abbiamo continuato a sperare. E lui ora c’è, è qui con noi».

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