Storia di due fratelli americani con la leucodistrofia metacromatica che si sono salvati la vita a vicenda. «Tanti anni e tanta vita insieme che sarebbero stati impensabili senza la terapia genica» spiega mamma Becky.

«Brutta, genetica e terminale»: sono le prime tre parole che si sono fissate nella mente di mamma Becky quando ha saputo della malattia appena diagnosticata al figlio. Era il 2012, Eli (diminutivo di Elijah) aveva sette anni e da qualche tempo Becky aveva cominciato a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava. Dopo mesi di indagini il responso era stato tremendo: leucodistrofia metacromatica, una malattia neurodegenerativa che comporta un progressivo deterioramento delle funzioni motorie e cognitive, praticamente senza cura. O, almeno, senza una cura già approvata perché all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano era invece in corso una sperimentazione clinica su una nuova terapia, la terapia genica: la salvezza non solo per Eli ma anche per la sorellina Ella. Questa è la loro storia.

Due scoperte terribili

«Da piccolo Eli era spesso a disagio, irritabile, come se non stesse bene nella propria pelle» ricorda la mamma che all’inizio non ha dato troppo peso a questi atteggiamenti, ma che con il passare del tempo ha cominciato a pensare che suo figlio fosse più lento di altri nelle attività fisiche e avesse difficoltà a elaborare più di una cosa alla volta. I medici derubricavano tutto ad “ansia materna”, ma quando, a sei anni, Eli ha cominciato a camminare in modo sempre più insicuro e a manifestare un leggero tremolio, mamma Becky ha voluto approfondire e ha preteso una risonanza magnetica.

«La notte prima della risonanza, sentivo che stavamo vivendo l’ultima notte della nostra vita normale. Abbiamo capito che c’era qualcosa di grave mentre Eli faceva l’esame, perché le infermiere che passavano in sala d’attesa hanno smesso di guardarci, come se fossero a disagio».

«Chissà per quanto tempo non avremmo saputo nulla, se non fosse stato per Eli. Così, Eli le ha salvato la vita, ed Ella l’ha salvata a lui».

Becky mamma di Eli ed Ella

La diagnosi è stata un momento terribile: «Ci ha distrutti, ma allo stesso tempo siamo grati di aver insistito per ottenere risposte sulla condizione di Eli, perché questo ci ha permesso di accedere alla terapia genica che gli ha regalato preziosissimi anni di vita».

Poiché la malattia di Eli è di origine genetica (sono i genitori, portatori inconsapevoli, a passarla ai figli, con un rischio del 25 per cento a ogni gravidanza), sono stati sottoposti subito a test genetico anche i fratelli: Eric ed Evan, più grandi, e la piccola Ella, che nel 2012 aveva quattro anni. I primi sono sani, la piccola di casa no. «Sembrava assolutamente perfetta: correva, nuotava, ballava, rideva. E invece il suo cervello era già danneggiato» racconta Becky. «Chissà per quanto tempo non avremmo saputo nulla, se non fosse stato per Eli. Così, Eli le ha salvato la vita, ed Ella l’ha salvata a lui».

Alla ricerca di una terapia

Appena ricevuta la diagnosi – e la notizia che non c’era una cura - Becky non si è data per vinta e si è messa alla ricerca di una terapia. Navigando in Internet è arrivata a conoscere la storia della famiglia Price, il cui figlio Giovanni è stato il secondo bambino al mondo a ricevere la terapia genica sperimentale, presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica di Milano. All’inizio alla famiglia, residente negli Stati Uniti, nella città di Providence, sembrava assurdo dover andare in Italia per curare Eli ed Ella, ma non c’erano alternative.

Il principio base della terapia sviluppata dai ricercatori di Fondazione Telethon è semplice. Poiché la malattia è causata dal mancato funzionamento di un gene codificante per un enzima che nelle cellule svolge un ruolo di “spazzino”, eliminando sostanze il cui accumulo risulta tossico, si tratta di fornire alle cellule stesse una versione funzionante del gene. C’è però una complicazione: per partecipare alla sperimentazione, i pazienti non devono manifestare sintomi, ma qualche sintomo Eli ce l’ha, per quanto lieve. Per un certo periodo sembra che possa essere trattata solo Ella, che in effetti è ancora asintomatica, ma infine i medici stabiliscono che anche il fratello può ricevere la terapia (in forma compassionevole) perché il danno non sembra ancora irreversibile. Eli viene trattato il 7 giugno 2013; il 31 gennaio 2014 è la volta di Ella.

Giorni fortunati, ma duri

Becky non ha dubbi: «Siamo stati i più fortunati tra gli sfortunati». Anche dopo la scoperta della possibilità di una terapia, però, certi momenti sono stati molto duri e del resto la terapia genica per la leucodistrofia metacromatica – che nel frattempo è diventata un farmaco registrato, con il nome di Libmeldy - non è una passeggiata.

Il primo passo è il prelievo di cellule staminali del sangue del paziente (attraverso un prelievo di sangue o di midollo osseo): sono queste cellule a venire “corrette”, grazie al contributo di un virus reso innocuo e opportunamente modificato per portare nelle cellule stesse la versione funzionante del gene. Una volta corrette, le cellule vengono reinfuse nel paziente con una semplice flebo, ma prima di questo passaggio è necessario che il paziente si sottoponga a una chemioterapia, con tutti gli effetti collaterali che questa comporta. La chemioterapia serve per far posto, nel midollo osseo, alle nuove cellule modificate, ma di fatto azzera le difese immunitarie del paziente, che quindi deve stare in camera sterile per un periodo piuttosto lungo.

«Non potremo mai esprimere la profondità della nostra gratitudine a chi abbiamo incontrato a Milano che ci ha aiutato quando eravamo soli in un Paese sconosciuto».

Becky, mamma di Ella e Eli

Provate a immaginare: un bambino di pochi anni chiuso per 40 o 50 giorni in una stanza d’ospedale dalla quale non può mai uscire. Con lui, un solo familiare alla volta (in genere la mamma), che viene da mesi di angosce e comunque non ha ancora la certezza che la terapia funzionerà. Sia con Eli sia con Ella Mamma Becky si è alternata in camera sterile con la nonna dei bambini, mentre il papà era a casa con i figli più grandi: «Ci sentivamo ogni giorno via Skype ma è stata dura non vederli per così tanto tempo».

«Non potremo mai esprimere la profondità della nostra gratitudine a chi abbiamo incontrato a Milano: i medici, gli infermieri e tutte le persone di Telethon che ci hanno aiutato quando eravamo soli in un Paese sconosciuto, ci hanno invitati a cena, ci hanno portati a fare la spesa, hanno preparato il nostro appartamento prima del nostro arrivo».

Ella e Eli, oggi

Ella e Eli oggi hanno una vita piena: di amici, di interessi, di affetti. Certo, Eli ha qualche difficoltà in più, come era prevedibile visto che è stato trattato quando la malattia aveva già cominciato a manifestarsi. Sono soprattutto difficoltà motorie: per anni ha usato solo la carrozzina, ma a inizio 2022 è stato sottoposto a un intervento agli arti inferiori e ora riesce a muovere alcuni passi con l’aiuto di stampelle. «Stiamo lavorando sull’indipendenza – commenta Becky – e lui diventa sempre più forte».

Anche Ella è forte e tenace e vive una vita praticamente normale, anche se in questo periodo tra gli alti e bassi dell’adolescenza! È appassionata di calcio femminile e allenatrice di una squadra. «Tanti anni e tanta vita insieme che sarebbero stati impensabili senza la terapia genica» conclude la mamma. «Saremo grati per sempre per questo dono». 

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