Il 30 aprile e il 1° maggio schierati al fianco di Beatrice e di chi come lei ogni giorno affronta una malattia genetica rara, scegli i Cuori di biscotto Telethon per sostenere la ricerca.

Beatrice

Questa è la storia di una famiglia come tante, ma unica. Giosuè ha un anno e qualche giorno, e sta dormendo nel suo lettino. Leonardo e Samuele, i suoi fratellini di 10 e 11 anni, sono a scuola. Per Beatrice, la loro mamma, è uno dei pochi momenti “lenti” della giornata, in attesa che i bimbi e il marito Paolo tornino tutti a riempire la loro casa. È questa la famiglia che oggi fa sentire Beatrice una donna realizzata. Una famiglia che non era niente affatto scontata perché Beatrice, ad oggi, è l’unica donna in Italia con la sindrome di Crigler-Najjar, che nonostante i rischi che questo comporta per la gravidanza, è diventata mamma.

«Mi sento una persona rara non perché ho una malattia genetica rara, ma perché nonostante la mia patologia ho avuto il raro dono di diventare mamma!».

Beatrice

Tre figli tanto voluti, ed un caso tanto raro, da chiedersi come siano riusciti Beatrice e suo marito Paolo a realizzare il sogno di creare una famiglia.

A Beatrice e a tutte le donne che come lei non vogliono chiudere i propri sogni in un cassetto, è dedicata la campagna “Io per lei”, che Fondazione Telethon indirizza a tante donne “rare” nel loro essere speciali. Sono donne che vedono nella difficoltà un ostacolo da superare, e che trasformano la fragilità in energia.

Per capire la storia di Beatrice bisogna tornare indietro nel tempo, all’8 marzo del 1982, giorno in cui Beatrice è nata, unica figlia di papà Velio e mamma Maria Cristina, che hanno dovuto affrontare le difficoltà di una patologia rara diagnosticata in Beatrice alla nascita. «Mio padre si presentò in ospedale con un mazzo di rose rosse per mia madre e un mazzo di mimose per me, per festeggiare la sua “nuova donna”. In realtà quel fiore era il più indicato, perché ero nata gialla, proprio a causa del fatto che la malattia colpisce il fegato».

Il colore giallo della pelle è dovuto proprio all’accumulo di bilirubina, quel difetto genetico per cui il fegato non funziona bene. C’è un solo sistema che permette di sopravvivere: la fototerapia. «Da quando sono nata dormo sotto una lampada speciale che mi illumina ogni notte. È lei che ha reso possibile la mia vita, ma non è sempre stato semplice conviverci».

La fototerapia

Quella grande lampada, se da un lato garantisce a Beatrice la sopravvivenza, dall’altro le impedisce di allontanarsi da casa per più giorni. E per Beatrice, adolescente con la voglia di scoprire il mondo, questo è un limite, soprattutto quando arriva il periodo tanto atteso delle gite scolastiche, un’esperienza inconciliabile con la fototerapia e, soprattutto, con le dimensioni della lampada, che la rendevano intrasportabile.

Ma in questa storia nessuno ha intenzione di arrendersi. In occasione della gita del V liceo fanno tutti squadra. Velio si incarica di spedire tutta l’attrezzatura in treno, mentre i compagni di classe di Beatrice si caricano sulle spalle le lampade, nonostante l’ingombro e le difficoltà.

E tra i banchi del liceo Beatrice trova anche l’amore, Paolo, che oggi è suo marito, e che fin da ragazzo le ha dimostrato quanto insieme fossero speciali. «Un giorno Paolo si presentò da me con due biglietti aerei per gli Usa. Il trasporto della lampada sarebbe stato impossibile, ma lui non si arrese, e si mise d’accordo con un professore statunitense che ci assicurò la disponibilità di una lampada in loco. Ed è esattamente questo lo spirito con cui, dopo esserci sposati, abbiamo affrontato anche il desiderio di avere dei figli».

Beatrice e Paolo si documentano, e nonostante le difficoltà arrivano alla loro personale soluzione: per tutto il periodo della gravidanza Beatrice avrebbe dormito su una rete elastica con una lampada sotto di sé e una sopra, senza coperte né materasso, in modo da far arrivare più luce possibile sulla sua pelle. Nove mesi dopo è arrivato Leonardo, e un anno e mezzo dopo ecco anche Samuele. E poi un altro piccolo capolavoro: Giosuè. «Questo è quello che mi hanno trasmesso i miei genitori, e che poi ho condiviso anche con Paolo, il valore delle soluzioni e della ricerca».

Sarà anche per questo che Beatrice si è laureata in biotecnologie, ed oggi lavora a Modena come ricercatrice nel campo della terapia genica. «È proprio la ricerca nella terapia genica che riserva speranze di cura anche per la mia patologia. Sarebbe una cosa meravigliosa».

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Nel 2018 Beatrice decide di seguire il corso di EUPATI Italia per diventare un “paziente esperto”, un corso rivolto a pazienti e caregiver, che consente di essere parte di ciò che vivono e non “vittime” del proprio destino. Papà Velio ha fondato l’associazione CIAMI APS che riunisce le famiglie di persone con sindrome di Crigler-Najjar ed è riuscito a creare e far certificare un prototipo di lampada piccolo e trasportabile! Ma non basta. Oggi il nuovo impegno di Beatrice nasce dall’esempio che le hanno dato i suoi figli. «Quando sono venuti con me alle riunioni dell’associazione con altre famiglie italiane che convivono con la sindrome di Crigler-Najjar, hanno potuto vedere che non c’è solo la mamma con gli occhi gialli, e nei loro sguardi c’era l’entusiasmo di capire che ci sono dottori che parlano di terapie e che è possibile fare informazione, tanto che mi dicono “mamma ma io di queste cose possono parlarne ai miei amici?” Ecco, io oggi voglio seguire il loro esempio. Voglio andare a parlare nelle scuole come ho già fatto in passato. Ho parlato con i bambini delle malattie genetiche e del dna; ho raccontato loro che una persona malata non è la sua malattia; ho spiegato loro perché ciascuno di noi è diverso e unico, e hanno tutti capito. È questo il futuro che vorrei».

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