Giugno è il mese dedicato alla sensibilizzazione sulla malattia genetica caratterizzata da malformazioni dei vasi sanguigni.

Giugno è il mese dedicato alla sensibilizzazione sulla teleangiectasia emorragica ereditaria - HHT nell’acronimo internazionalmente utilizzato, o malattia di Rendu-Osler-Weber dal nome degli scopritori - una malattia genetica caratterizzata da malformazioni congenite dei vasi sanguigni che si manifesta con sanguinamenti spontanei e ricorrenti del naso (epistassi) fin dalla giovane età. Sanguinamenti che in età adulta possono riguardare anche tratto gastrointestinale, o dare luogo a emorragie improvvise e molto pericolose anche a carico di organi quali cervello o polmoni.

«Negli ultimi vent’anni molta strada è stata percorsa sulla via della conoscenza della HHT, grazie alla ricerca, ai centri clinici della Rete nazionale delle malattie rare e alle associazioni dei pazienti - ha dichiarato Andrea Giacomelli, presidente della Fondazione Italiana HHT “Onilde Carini”. - Ma molto resta da fare se è vero che il 90% dei malati non riceve ancora una diagnosi e le cure appropriate. Per cui è necessario continuare su questa strada, sostenendo la ricerca, i pazienti e tutti coloro che a vario titolo si occupano di questa malattia, anche con campagne di sensibilizzazione come questa».

Sull’importanza della diagnosi si è soffermata anche Maria Aguglia, Presidente HHT Onlus, che ha ribadito come «conoscere e capire questa patologia significa garantire diagnosi precoce e assistenza adeguata a tutte le persone affette, portando servizi e terapie in ogni regione, vincendo l'isolamento con la creazione di comunità di ascolto e facendosi promotori di iniziative di ricerca. Questi sono gli obiettivi perseguiti dalla HHT Onlus».

Ad oggi la Fondazione Telethon ha finanziato tre progetti di ricerca sulla HHT, per un totale di oltre 230mila euro. In particolare, nel 2013 ha finanziato un progetto coordinato da Rosangela Invernizzi del Policlinico San Matteo di Pavia in partnership con Paolo Colombo dell’Università di Parma, che ha valutato nell’ambito di uno studio clinico pilota l’efficacia di un trattamento farmacologico a base di talidomide nel ridurre il sanguinamento tipico di questa malattia.

Questo farmaco è tristemente noto poiché negli anni Cinquanta, dopo essere stato ampiamente prescritto alle donne in gravidanza come sedativo e anti-nausea, è risultato essere causa di gravi alterazioni congenite nei neonati, che nascevano con malformazioni agli arti. Ritirato dal commercio, ha riacceso molti anni dopo l’interesse della comunità scientifica quando alcuni studi hanno dimostrato la sua azione come inibitore dell'angiogenesi, cioè lo sviluppo dei vasi sanguigni. Partendo dall’osservazione pregressa che pazienti oncologici trattati con talidomide manifestavano una riduzione del sanguinamento, i ricercatori Telethon hanno avuto l’intuizione di testarlo come cura per la teleangectasia emorragica ereditaria per prevenire le epistassi.

I risultati del primo studio pilota presso il Policlinico San Matteo, coordinato da Carlo Balduini insieme a Rosangela Invernizzi, sono stati pubblicati nel 2015 su Lancet Haemathology e sono stati molto positivi: il farmaco, somministrato per via nasale, si è rivelato sicuro e in grado di ridurre sensibilmente i sanguinamenti, in alcuni casi del 100 per cento. Un vero e proprio riscatto per il farmaco “killer” per eccellenza nella storia della medicina, impiegato questa volta in condizioni di totale sicurezza (nessuna delle partecipanti allo studio era in stato di gravidanza).

Come spiegano i ricercatori, «il miglioramento indotto dal farmaco nei pazienti inseriti nel nostro primo protocollo di studio è continuato a lungo anche dopo la sospensione del trattamento, ma con il tempo quasi tutti i pazienti hanno ripresentato episodi di sanguinamento. Abbiamo trattato nuovamente chi ha avuto una ricaduta modificando lo schema di somministrazione e in quasi tutti i casi talidomide è risultata ancora efficace nel ridurre in modo significativo l’epistassi, aumentare i valori di emoglobina e ridurre il ricorso a trasfusioni. Questi risultati, presentati a congressi internazionali e non ancora pubblicati, indicano che ripetute somministrazioni di talidomide mantengono nel tempo l’efficacia e potrebbero essere utilizzate per il trattamento a lungo termine dell’epistassi nell’HHT».

Sulla base di questi risultati, nel 2017 la talidomide ha ottenuto la designazione di farmaco orfano da parte delle autorità regolatorie europee (Ema) e statunitensi (Fda). Continuano i ricercatori: «Questo ha consentito in seguito di utilizzare il farmaco per questa patologia in modalità off-label e potrebbe inoltre incoraggiare gli ulteriori studi necessari per ottenere l’autorizzazione alla sua immissione in commercio con l’indicazione specifica alla terapia dell’epistassi nell’HHT e per lo sviluppo di eventuali nuove formulazioni del farmaco. A questo proposito, abbiamo considerato la possibilità di usare una formulazione nasale di talidomide per uso topico, che rispetto al trattamento sistemico potrebbe ridurre non solo i costi, ma anche il rischio di eventi avversi. Un gruppo di farmacologi dell’Università di Parma con cui collaboriamo ha messo a punto una formulazione in polvere adatta per l’inalazione, che è stata ben caratterizzata dal punto di vista fisico-chimico, aerodinamico e biofarmaceutico. Prossimo passo sarà condurre studi preclinici per valutarne sicurezza e tollerabilità, per poi passare alla sperimentazione nei pazienti nel caso riuscissimo a individuare un partner farmaceutico disposto a supportarci».

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