Con “test genetico” si intende comunemente l’analisi di specifici geni, del loro prodotto o della loro funzione, nonché ogni altro tipo di indagine sul DNA, l’RNA o i cromosomi, finalizzata a individuare o a escludere mutazioni associate a malattie genetiche.

I test possono essere anche utilizzati per definire la variabilità che esiste tra un individuo e l’altro, per risolvere quesiti medico-legali, per valutare la sensibilità, la suscettibilità e le resistenze individuali, come pure la risposta individuale – geneticamente determinata – ai farmaci. Rispetto ad altri esami di laboratorio, i test genetici presentano alcune peculiarità, in quanto i risultati coinvolgono non solo la singola persona, ma anche i membri della sua famiglia.

Le tipologie di test disponibili

  • test diagnostici: consentono di effettuare una diagnosi o di confermare un sospetto clinico in una persona affetta. Possono essere eseguiti in epoca prenatale, a seguito di una indicazione preliminare data dallo screening neonatale o nel corso della vita. I test diagnostici genetici vengono utilizzati per diagnosticare o escludere specifiche malattie genetiche in individui sintomatici. Esistono centinaia di test per la diagnosi di molte patologie ereditarie. Molti di questi ricercano alterazioni in geni specifici responsabili di patologie, come per esempio la fibrosi cistica, l’anemia falciforme o la distrofia muscolare di Duchenne. Molte patologie ereditarie possono essere identificate indirettamente tramite la rilevazione di anomalie nei prodotti finali (proteine o metaboliti) di geni che potrebbero essere alterati. Un esempio è l’emofilia, una sindrome emorragica, in cui lo screening rileva la diminuzione di alcune proteine che regolano la coagulazione del sangue. I test genetici forniscono inoltre indicazioni utili per la ricerca della stessa mutazione nei familiari dell'individuo affetto.

  • test di identificazione dei portatori sani: permettono di individuare mutazioni comuni attraverso lo screening di popolazione (anche in epoca neonatale), oppure di effettuare indagini sui familiari a rischio di soggetti affetti da patologie genetiche più o meno rare. I test per la verifica dello stato di portatore consentono di rilevare la presenza di una variante genetica che potrebbe essere trasmessa alla prole e causare anche una patologia nel caso in cui questa variante, o una simile, sia presente anche nel partner. Questo tipo di test può essere offerto alle coppie che progettano una gravidanza e che sono a rischio per la storia familiare di patologie autosomico recessive, come la fibrosi cistica o l’anemia mediterranea. Un portatore di una malattia autosomica recessiva è solitamente asintomatico, oppure presenta solamente sintomi lievi. Tuttavia, nel caso in cui i suoi figli ereditino due copie del gene mutato, una da ciascun genitore, è possibile che la malattia si manifesti. Per ciascuna gravidanza, i genitori entrambi portatori di una variante autosomico recessiva hanno una possibilità su quattro di avere un figlio affetto, una possibilità su due di avere un figlio portatore asintomatico e una possibilità su quattro di avere un figlio sano e non portatore.

  • test preclinici o presintomatici: permettono di individuare il gene responsabile di malattie genetiche, i cui sintomi non sono presenti alla nascita, ma compaiono successivamente, anche in età avanzata.Questi test sono di solito usati per la diagnosi di patologie a esordio tardivo, come la malattia di Huntington e l'emocromatosi ereditaria, in persone con anamnesi familiare positiva per la presenza di queste patologie. La consulenza genetica è particolarmente complessa e spesso necessita di un supporto psicologico durante il percorso che precede e segue l’eventuale esecuzione del test. Se il medico ritiene opportuno sottoporre un paziente a un test genetico per la verifica di un’ipotesi diagnostica che riguarda una malattia a esordio tardivo o in età adulta, deve spiegare al paziente (o ai suoi genitori nel caso di un minore) la motivazione del test, i benefici e i rischi correlati, gli eventuali limiti del risultato e le implicazioni per il paziente e i familiari, nonché ottenerne il consenso informato. Per queste ragioni il test deve essere offerto in modo non direttivo e nell’ambito di una consulenza esauriente, che consenta di conoscere le opinioni dell’interessato. Chi si sottopone a un test di questo tipo deve essere consapevole delle implicazioni che un eventuale risultato positivo potrà avere per i figli attuali e futuri e per altri consanguinei.

  • Screening neonatale esteso: non è propriamente un test genetico, ma un programma di medicina preventiva pubblica eseguito su tutti i nuovi nati alla ricerca di 40 malattie genetiche ereditarie alla ricerca di metaboliti o attività enzimatiche in poche gocce di sangue prelevate dal tallone del bimbo. Se lo screening risulta positivo, il bimbo può essere richiamato per un approfondimento che confermi il sospetto clinico, anche attraverso test genetici diagnostici. Per ulteriori informazioni, consulta la nostra sezione sullo screening neonatale.

  • test genetici prenatali: forniscono informazioni riguardo alla possibilità che un feto sia affetto da malattie genetiche. Spesso questi test ricercano la presenza di aneuploidie, ossia la presenza di cromosomi in più o in meno. Non sono da confondere con gli screening neonatali. Negli ultimi anni è diventato sempre più diffuso il test del DNA fetale contenuto nel sangue materno (test NIPT: Non Invasive Prenatal Test). Si tratta di un prelievo di sangue materno seguìto dall’analisi del materiale genetico fetale che, già dalle prime settimane di gravidanza, viene rilasciato appunto nel circolo sanguigno della mamma. Permette di stimare il rischio di alcune anomalie cromosomiche a partire già dalle dieci settimane di gravidanza. Il rischio delle principali anomalie cromosomiche può essere stimato anche con il cosiddetto bi-test, che si esegue intorno alle 12 settimane e prevede la combinazioni di informazioni tratte sia dall’ecografia fetale sia dall’analisi di alcuni marcatori biochimici presenti nel sangue materno. Questi test sono però di screening e non diagnostici, per cui in caso di risultato positivo (cioè se segnalano un rischio elevato di anomalia) sono sempre necessari ulteriori approfondimenti. In questo casi, il passo successivo è in genere l'analisi diretta del materiale genetico di origine fetale raccolto tramite indagini invasive come amniocentesi o villocentesi. Nel caso di quei test che possono influenzare le decisioni riproduttive, sono indispensabili informazioni complete e un comportamento non direttivo da parte di chi li gestisce, in modo da garantire il rispetto dei valori e delle convinzioni dell’individuo o della coppia. I test per l’identificazione dei portatori sani non possono essere eseguiti come test prenatali. Inoltre, se in una coppia soltanto uno dei genitori è portatore sano di una patologia recessiva, questo non rappresenta un’indicazione a eseguire diagnosi prenatale per tale patologia.

  • test di suscettibilità: consentono di individuare varianti genetiche che di per sé non causano una malattia, ma comportano un aumento del rischio di svilupparla, in seguito all’esposizione a fattori ambientali favorenti, o alla presenza di altri fattori genetici scatenanti. Rientra in questo ambito la maggior parte delle malattie multifattoriali dell’adulto, dal cancro al diabete. Spesso la mutazione in un gene, che conferisce suscettibilità, rappresenta solo un fattore di rischio ed evidenzia unicamente una maggiore predisposizione alla malattia. Il risultato del test genetico può solo predire un aumento o una riduzione del rischio. L’identificazione di persone non affette, ma ad alto rischio genetico, può giustificare l’eventuale attivazione di misure preventive, che variano in base alla patologia. In questi casi, la consulenza genetica e l’acquisizione del consenso informato sono estremamente complessi e delicati. Il risultato del test genetico può solo predire un rischio aumentato o diminuito di contrarre una malattia rispetto alla popolazione generale. Non può invece offrire una correlazione diretta tra la presenza di una mutazione e la malattia, ma soltanto una probabilità statistica di malattia. L’eventuale attuazione di screening preventivi non deve portare al “determinismo genetico”, ignorando l’influenza dell’ambiente o di altri geni non esaminati. Pertanto, l’eventuale applicazione di queste indagini si deve accompagnare a una corretta e capillare informazione sulle attuali conoscenze, sui limiti e sulle potenzialità effettive della “predizione genetica”.

  • Applicazioni non cliniche, come i test di paternità e di identificazione per la genetica forense, ricadono nella grande famiglia dei test genetici in quanto utilizzano strumenti e procedure simili, ma non vanno confusi con i test precedenti.

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