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Che cos'è e come si manifesta la sindrome da ipoventilazione centrale congenita?

Detta anche di Ondine, la sindrome da ipoventilazione centrale congenita (CCHS) è una malattia genetica rara dovuta a un’alterata funzione del sistema nervoso autonomo. Il sintomo principale consiste nell’ipoventilazione alveolare, un disturbo caratterizzato da una respirazione incapace di fornire quantità di ossigeno sufficiente ai polmoni e altrettanto incapace di espellere quantitativi sufficienti di anidride carbonica. L’ipoventilazione si verifica prevalentemente durante il sonno e può determinare gradi di ipossia particolarmente severi, con importanti conseguenze cerebrali. Nelle forme più gravi i sintomi respiratori sono presenti anche durante la veglia. In pratica in questi pazienti non avvengono quelle reazioni respiratorie correttive, involontarie e regolate appunto dal sistema nervoso autonomo, all’aumento di anidride carbonica o alla diminuzione di ossigeno nel sangue. Questo comporta anche l’incapacità di percezione cosciente dell’asfissia, a riposo o dopo esercizio fisico, e l’insorgenza di quei comportamenti di difesa, inclusa l’ansia, che normalmente accompagnano la "fame d'aria". Essendo una patologia dello sviluppo del sistema nervoso autonomo, è spesso accompagnata da altre disfunzioni vegetative, sia malattie vere e proprie come quella di Hirschsprung o il neuroblastoma, sia specifici sintomi come ridotta risposta pupillare alla luce, disturbi della motilità esofagea, ridotta temperatura corporea, sporadiche e improvvise sudorazioni profuse, disturbi del ritmo cardiaco. La sindrome è rara, si stima che colpisca un individuo ogni 200mila nati vivi: le stime più recenti parlano di un migliaio di casi diagnosticati nel mondo e 40 in Italia, ma probabilmente si tratta di sottostime per la difficoltà di diagnosi al di fuori di centri specializzati. L’impatto globale potrebbe essere più importante, poiché potrebbe contribuire in maniera significativa alla sindrome della morte improvvisa in culla. Sebbene la CCHS sia considerata una patologia tipica del neonato, ci sono anche casi di diagnosi più tardiva, anche in età adulta: generalmente sono più lievi e tendono a manifestarsi in seguito all'esposizione a fattori ambientali precipitanti, come l’anestesia generale.

Come si trasmette la sindrome da ipoventilazione centrale congenita?

La CCHS è una malattia a trasmissione autosomica dominante: questo significa che è sufficiente possedere uno dei due alleli mutati per sviluppare la malattia e che un genitore portatore del gene mutato ha il 50% di probabilità di passarlo al figlio. Tuttavia, la maggior parte dei casi (75%) non sono ereditari, ma sporadici (de novo). Esiste poi una percentuale di mutazioni che è ereditata da genitori sani, i quali sono però dei mosaici; per esempio la mutazione potrebbe interessare solo alcune cellule germinali di un genitore e così essere passata all’individuo affetto. Il gene coinvolto si chiama PHOX2B e contiene le informazioni per un fattore di trascrizione, una proteina che regola l’espressione di altri geni importanti per lo sviluppo del sistema nervoso autonomo durante la vita embrionale.

Come avviene la diagnosi della sindrome da ipoventilazione centrale congenita?

La diagnosi viene effettuata mediante un test genetico, che dovrebbe essere eseguito in tutti quegli individui, neonati e non, che presentino persistente ipoventilazione durante il sonno (PaCO2 > 60 mmHg), in assenza di malattie polmonari, neuromuscolari o cardiache che possano spiegare il fenomeno. Il sospetto diagnostico viene posto solitamente già poco dopo la nascita, in caso di cianosi neonatale con necessità di ventilazione meccanica e difficoltà di svezzamento dalla ventilazione assistita.

Quali sono le possibilità di cura attualmente disponibili per la sindrome da ipoventilazione centrale congenita?

Per questa malattia, che dura tutta la vita, non esistono attualmente terapie farmacologiche che possano modificarne la storia naturale. Questi pazienti necessitano di assistenza respiratoria meccanica durante il sonno e, nelle forme più gravi, anche durante la veglia. Recentemente, per serendipità, si è creata una nuova potenziale opportunità terapeutica: due pazienti femmine, assumendo un progestinico (desogestrel) a scopo contraccettivo, hanno manifestato un miglioramento delle performance respiratorie durante il sonno. Questa osservazione ha dato il via, nel nostro laboratorio ed in collaborazione con la Professoressa Silvia Pagliardini all’Università dell’Alberta, in Canada, ad un filone di ricerca che ha dimostrato che il desogestrel può effettivamente regolare l’espressione e l’attività di PHOX2B, sia normale che mutato, sia in modelli cellulari che animali. E’ proprio la carenza di modelli sperimentali più “vicini” alla malattia umana e alla sua complessità che ha fortemente limitato il progresso di questi e altri studi farmacologici. Tuttavia due grandi novità sono emerse in questi ultimi anni: la possibilità di ottenere cellule neuronali di tipo diverso da pazienti con CCHS, attraverso la generazione di cellule staminali riprogrammate a partire dai fibroblasti dei pazienti stessi e l’identificazione di un una nuova entità molecolare, la cui attività potrebbe spiegare meccanismi non ancora compresi circa la regolazione di PHOX2B normale e mutato. Per quanto riguarda la prima novità il nostro laboratorio e quello del Dr. Gad Vatine (Ben-Gurion University of the Negev, Israel) hanno indipendentemente generato neuroni da pazienti portatori di diversi tipi di mutazioni, creando quindi un modello sperimentale molto vicino alla patologia umana. La seconda novità riguarda la scoperta nel nostro laboratorio di un long non-coding RNA (lncRNA) capace di regolare l’espressione di PHOX2B, costituendo un nuovo bersaglio farmacologico per interferire con l’espressione di PHOX2B

Ultimo aggiornamento

17.01.23

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