Un errore nel Dna, una proteina che non si forma e i muscoli che si danneggiano progressivamente: la storia di Telethon è cominciata da qui, da una malattia genetica chiamata distrofia di Duchenne di cui soffrivano i figli di un gruppo di genitori che non volevano arrendersi e che hanno riposto la loro fiducia nella ricerca scientifica.

Negli ultimi vent'anni, anche grazie ai fondi messi a disposizione da Telethon, sono stati fatti grandi passi avanti e oggi sono diverse le strategie terapeutiche "approdate" alla fase cruciale della sperimentazione sull'uomo.

Ma se una cura definitiva non è ancora disponibile, oggi la ricerca ci consente di prenderci cura di questi pazienti in un modo decisamente migliore rispetto al passato recente, con ricadute concrete sulla qualità della loro vita.

«Chi è affetto da distrofia di Duchenne vive di più e meglio rispetto a vent'anni fa -commenta Eugenio Mercuri, direttore dell'unità operativa di Neuropsichiatria infantile del Policlinico Gemelli di Roma e titolare di diversi finanziamenti Telethon -. Nel tempo abbiamo visto quasi raddoppiare l'aspettativa di vita dei nostri pazienti, che prima non superavano i 18-20 anni. Anche il momento in cui non riescono più a camminare autonomamente e sono costretti a utilizzare la sedia a rotelle arriva più tardi, intorno ai 13 anni (addirittura 18 in alcuni casi) e non più entro 8-9 anni. A fare la differenza sono stati innanzitutto i corticosteroidi, farmaci derivati dal cortisone che, grazie a un meccanismo ancora non del tutto chiaro, sono in grado di contrastare l'infiammazione a cui si deve la progressiva degenerazione muscolare, con effetti positivi anche sulla funzionalità polmonare e la tendenza a sviluppare scoliosi».

Anche la tecnologia, nel corso degli anni, ha fatto la sua parte, come spiega Marika Pane, ricercatrice dello staff di Mercuri: «Grazie alla ricerca oggi sono disponibili degli ausili che consentono di migliorare notevolmente la vita di chi convive quotidianamente con la Duchenne. Basti pensare alla macchina della tosse, che aiuta a evitare l'accumulo di catarro durante il sonno, oppure alle doccette notturne e ai gessi seriali, speciali calzature che consentono di correggere la retrazione del tendine di Achille, tipica di questi pazienti, e di posticipare o addirittura evitare la correzione chirurgica del difetto, decisamente più traumatica. Piccoli successi, non risolutivi, ma che decisamente si sentono nella vita di tutti i giorni».

Se dal punto di vista di noi clinici il bilancio tra rischi e benefici è comunque in attivo, per un adolescente che si affaccia alla vita adulta può non essere lo stesso, anzi. Per questo è molto importante anche un'adeguata assistenza psicologica al paziente e alla sua famiglia, così come l'attenzione alla loro vita sociale: in questo senso il ruolo delle associazioni è importantissimo».

Un altro campo che in questi anni ha fatto passi da gigante è quello della diagnostica molecolare: se fino a dieci anni fa potevano volerci anche diversi anni per conoscere con precisione il difetto genetico di un paziente, oggi bastano tre mesi al massimo.

«Di fronte a una malattia così eterogenea dal punto di vista genetico – ad oggi si conoscono più di mille diverse possibili mutazioni tutte nel gene della distrofina – è fondamentale affinare le nostre capacità diagnostiche, per indirizzare correttamente i pazienti agli studi clinici disponibili, spesso mutazione-specifici.

Oggi una diagnosi corretta e tempestiva non serve soltanto a intraprendere prima possibile il percorso assistenziale, ma anche a dare un accesso adeguato alla sperimentazione clinica e attivare una efficace prevenzione genetica».

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